INTRODUZIONE GENERALE
Nell'ampio panorama della letteratura greca cristiana (del IV secolo) campeggia Gregorio di Nazianzo, personalità singolare per vivida intelligenza, spirituale inquietudine, potente creatività, ritenuto il più greco dei Padri.
Per unanime consenso, gli studiosi riconoscono nel Nazianzeno l'avvenuto punto di incontro, il più felice e completo, tra il realismo cristiano e l'idealismo greco. Per una volta, e questo — si sa — accade raramente, filosofi e filologi addivengono, nei rispettivi piani di ricerca, ad una medesima conclusione: una originale sintesi di theoria e praxis.
In Gregorio, appunto, si compone l'iniziale scontro violento e vario tra il mondo pagano e quello che viene cristianizzandosi; con Gregorio assurge a piena e armonica dignità la poesia cristiana in lingua greca.
La fortuna ininterrotta dell'autore nei secoli ne è la conferma più valida e più sicura. È altamente significativo che nel mondo occidentale si suole riconoscere ad Agostino di Ippona il medesimo ruolo e la medesima sensibilità d'animo del Nazianzeno.
Pubblichiamo la traduzione integrale de L'autobiografia (Carmen de vita sua) del Nazianzeno, certamente la più bella autobiografia in versi, oltre che la prima, di tutta la letteratura greca. E insieme con essa un'opera in prosa, La fuga (Serino apologeticus de fuga) , un brano scritto da Gregario tra le prime, e sostanzialmente un vero proprio trattato sulla natura e le responsabilità del sacerdozio, del quale si servirono come modello e fon te Giovanni Crisostomo e Gregorio Magno, rispettivamente per Il sacerdozio e per la Regola pastorale.
L'interesse — come si detto — continuo per gli scritti del Nazianzeno, che e alla base della sua fortuita, è sancito dalla mole veramente cd impressionante di collezioni, stridi, traduzioni che da quindici secoli senza soluzione di continuità si registra ili tutto mondo.
Le due opere che noi presentiamo nella traduzione italiana racchiudono idealmente tutta l'attività ministeriale, travagliosissima e paradigmatica del Nazianzeno.
La fuga, infatti, si colloca proprio agli inizi del suo sacerdozio (362), mentre L'autobiografia viene scritta subito dopo le sue dimissioni da metropolita di Costantinopoli, città nella quale stava presiedendo il secondo Concilio ecumenico orientale (381).
Questi due gioielli della letteratura greca, già raccolti dal Migne costituiscono una testimonianza del reciproco influsso tra i due mondi, il pagano e il cristiano. Uno studio nuovo, organico e completo, in grado di illuminare sinotticamente le valenze molteplici, spesso solo affioranti, della complessa personalità del Nazianzeno, necessita, soprattutto alla luce degli ultimi studi specialistici.
La nostra traduzione (condotta sul testo critico di J. Bernardi, n. 247 della Sources Chrétiennes, pp. 84-240, du Cerf, Paris 1978) vuole colmare una lacuna nell'editoria italiana sul Nazianzeno. La cinquecentesca versione di Annibal Caro del De fuga, oltre ad essere rarissima, è una ricreazione poetica. Troppo libera e destinata all'ambito ecclesiastico è la traduzione comparsa nell'«Annuario del Parroco», ed. I,N.A., Roma 1965.
Quanto a L'autobiografia, un capolavoro — si e detto — nel suo genere, non mi consta essere mai stata integralmente tradotta in lingua italiana. Il testo-base e ancora quello pubblicato dal Migne e si fa inderogabile una edizione critica nuova e definitiva.
La fuga presenta pagine sulle quali dovrebbe fermarsi la nostra attenzione. Traspare un'attualità di problemi che, rivisitati attraverso la filosofia platonica, aristotelica, stoica e neoplatonica, ricevono una soluzione pienamente religiosa, anche alla luce dell'influenza di Ireneo, Origene, Atanasio, e Cirillo di Gerusalemme.
L'appello costante all'unità, all'umiltà, al timor Dei, al senso di responsabilità risuona con una forza che penetra il lettore attento fino a sconvolgerne l'animo, manifestandosi come frutto di un'esperienza di vita sofferta e non di teoriche declamazioni scolastiche o rituali. Gregorio «non si lega servilmente a una scuola» né si appella ad un vago sincretismo filosofico-religioso, ma parla sempre con, l'autorità che gli deriva dalla pratica quotidiana dei precetti biblici che sono all'origine della sua inquietudine interiore. Se dal punto di vista formale l'analisi del De fuga e degli altri discorsi e poesie mostra la sua particolare formazione retorica, guardando al contenuto si può affermare con certezza quanto grande sia stata la cura rivolta dal Nazianzeno al problema della ortodossia trinitaria e alle controversie cristologiche che gli valse l'appellativo di «Teologo». È la stessa rievocazione che il lettore può cogliere ne L'autobiografia di Gregorio che, a Costantinopoli, fin dalla Pentecoste del 379 — e cioè quando egli era ancora apertamente osteggiato dal potere costituito — con eroico apostolato andava già esplicitando il concetto niceno della Trinità nei suoi cinque memorabili discorsi teologici.
Tutto l'apostolato di Gregorio nella capitale orientale dell'Impero romano è la lotta coraggiosa e coerente di un uomo che difende pubblicamente il suo credo, mettendo più volte a repentaglio la vita, fatto segno della reazione arrogante, violenta e intollerante della comunità ariana 8 di quella città, guidata dal vescovo Demofilo.
Di tutto rilievo, poi, è la concezione stessa dell'apostolato quale si configura nel Nazianzeno. Infatti, la vera ragione della composizione dell'orazione in questione, intesa a delineare ed esaltare la dignità del sacerdozio, è nell'intento di rendere le masse salde nella fede per resistere alle eresie dilaganti.
Ugualmente interessante è cogliere nelle pagine del Nazianzeno i peculiari rapporti sia tra fedeli e vescovi, sia tra gli stessi vescovi, sovente caratterizzati questi ultimi da comportamenti improntati a raggiri, invidie e interessi privati, e sui quali cade la denuncia di Gregorio. In tali pagine si hanno interessanti dati sui rapporti tra metropolita e vescovi, tra vescovi e corepiscopi e sul primato della cattedra di Roma su quella di Costantinopoli.
Accanto alle riflessioni sulla teologia biblica e sull'economia della salvezza, figurano e si intersecano — senza un ordine preciso o prestabilito — quelle sulla liturgia sacramentale e sull'amicizia cristiana. Altrettanto illuminanti le considerazioni sulla verginità e sul matrimonio. I termini antitetici della vexata quaestio sulla liricità dei versi del Nazianzeno non sono stati ancora composti. Egli è un grande poeta non nel senso di Virgilio o Leopardi, pur avendo in comune con essi ora la dolcezza ora la violenza dei sentimenti, ma sul piano di una forte passione cristiana vissuta e sofferta. Certe confidenze autobiografiche hanno una vigorosa potenza evocatrice e una originalità di cui la critica non si è ancora resa generalmente conto. Il suo impulso passionale e la sua sensibilità lo portarono all'accantonamento della metrica quantitativa ed all'accoglimento della ritmica accentuativa nell'Inno vespertino e nell'Esortazione ad una vergine.