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L' esistenza e il logos. Filosofia, esperienza religiosa, rivelazione
(Idee. Filosofia e Antropologia)EAN 9788831101561
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DETTAGLI DI «L' esistenza e il logos. Filosofia, esperienza religiosa, rivelazione»
Tipo
Libro
Titolo
L' esistenza e il logos. Filosofia, esperienza religiosa, rivelazione
Autori
Bubbio Paolo D., Coda Piero
A cura di
Paolo D. Bubbio, Piero Coda
Editore
Città Nuova
EAN
9788831101561
Pagine
256
Data
gennaio 2007
Peso
286 grammi
Dimensioni
13 x 20 cm
Collana
Idee. Filosofia e Antropologia
COMMENTI DEI LETTORI A «L' esistenza e il logos. Filosofia, esperienza religiosa, rivelazione»
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Recensioni di riviste specialistiche su «L' esistenza e il logos. Filosofia, esperienza religiosa, rivelazione»
Recensione di Francesco De Carolis della rivista Studia Patavina
Il problema della libertà contiene in sé un enigma che pone in crisi la ragione e la sollecita ad una ricerca complessa, ma fruttuosa. L’enigma della libertà contiene in sé, secondo Luigi Pareyson, il positivo e il negativo, il bene e il male, la disperazione e l’amore. Infatti, non si dà realtà più originaria di quella che è chiamata a scegliere se stessa.
I contributi presenti nel volume intendono riflettere sulla filosofia di Pareyson e su alcuni aspetti della filosofia attuale che risultano vicini alla prospettiva nella quale Pareyson si è posto così originalmente. Per Pareyson, infatti, la molteplicità delle interpretazioni segnala la ricchezza di una verità che non è mai chiusa e fissata in sé stessa.
Perciò, Nynfa Bosco ricorda che, nel pensiero filosofico occidentale, si è sempre riproposto il problema della conciliabilità dell’esistenza di Dio e dell’esistenza del male. Si sono succedute interpretazioni che concludono per la non esistenza di Dio a causa della presenza del male nel mondo o che approdano a una relativizzazione del male che fa leva sulla dimostrabilità dell’esistenza di Dio e sulla positività dell’universo. Invece, Nynfa Bosco si dichiara piuttosto interessata ad approfondire un’altre linea, meno classica, che collega autori come Wheithead e Pareyson, i quali hanno ricordato che tratto precipuo del divino è la libertà, che, nella sua radicalità, precede il male stesso. Così Dostoevskij ha sondato profondamente tutte le direzioni di un ateismo che si radica nella constatazione del negativo e del male prima di esprimere il mistero di luce che si manifesta gratuitamente nella redenzione. La lettura dell’opera di Dostoevskij pone le basi per una riflessione integrale sull’esperienza dell’uomo esposto al dolore e al male, all’ingiustizia patita senza colpa, che è il termine estremo su cui riescono ad esercitarsi l’amore e il perdono.
Piero Coda presenta un itinerario pareysoniano che si sviluppa da Esistenza e persona sino agli scritti raccolti in Ontologia della libertà. Questione centrale è trovare, nella filosofia di Pareyson, la presenza di un logos che si ponga in ascolto delle domande fondamentali dell’esistenza. Esso si distanzia dall’autoimposizione di una certa forma di logos, quale quello di parte della modernità, che tende a cedere alla logica del dominio e dell’autosufficienza dell’uomo. L’esperienza del mondo è, invece, l’esperienza complessa, talora sofferta e tragica, della trascendenza e della libertà che si rivelano nello stupore, nell’amore, nella compartecipazione al dolore. La filosofia pareysoniana approda, per un’interiore bisogno, ad una filosofia della libertà e ad una filosofia dell’esperienza religiosa, nella quale il teologo può scorgere la ricchezza e il mistero del logos della croce.
Anche Aldo Magris si interroga sul tema della libertà, vedendone le radici etimologiche, culturali e storiche anche nella grecità e nella romanità. A questo proposito, segnalando l’attenta analisi aristotelica del tema della libertà, va anche ricordato che Magris, nella scia del Pareyson, intende proporre il tema della libertà in un orizzonte più ampio, che trascende anche quello classico e ancora troppo settoriale della libertà di tipo morale. Ponendosi su questa strada, Magris ritiene che si possa comprendere il significato della filosofia pareysoniana: «ho cercato di illustrare l’originalità della filosofia pareysoniana dell’ultimo periodo e le prospettive nuove che dischiude. Ho espresso sin dall’inizio una mia convinzione, che spero risulti ora sufficientemente giustificata. La filosofia della libertà non è una ‘filosofia seconda’, l’ennesima proposta di ‘filosofia pratica’ o di meditazione ‘esistenziale’ che sorvola sui grossi nodi del pensiero trasmessi dalla metafisica (nonostante Pareyson abbia conservato sempre un’ispirazione esistenzialistica), bensì una filosofia ‘prima’ a tutti gli effetti, cioè un’ontologia nell’accezione fondamentale del termine, che pensa l’essere come evento in base ai concetti di discontinuità e di puro cominciamento. Anzi sarei portato a dire che, in tale ontologia, proprio il valore etimologico di ‘libertà’ sia conservato a monte dello scivolamento semantico in senso sociologico» (p. 126).
Claudio Ciancio si confronta con la questione della verità nell’orizzonte di filosofie, come quella di Heidegger, che l’hanno radicalmente ri-tematizzata. L’analisi tende a mettere in discussione non solo la concezione della verità come esattezza e conformità, ma anche l’orizzonte di problematizzazione della metafisica hegeliana che, identificando il vero e l’intero, vede nel tutto logico la realtà tutta dispiegata dello Spirito. Sulla base di ampie letture dell’opera del Pareyson, Ciancio non accetta né letture neutrali e impersonali, né gnoseologiche né destinali della tematica della verità e di quelle della non-verità, dell’errore e del male che tanto segnano profondamente l’esperienza umana. Occorre riproporre, sulle orme del Pareyson, la questione del positivo e del negativo, del bene e del male nella prospettiva della libertà.
Maurizio Pagano, nel suo denso intervento, delinea alcuni aspetti di fondo del pensiero pareysoniano. Fin dagli anni della propria formazione universitaria, egli si è confrontato con le tesi del Pareyson, secondo cui è necessario superare l’oggettivismo e il soggettivismo. Quest’impostazione, che deriva anche dalla lettura di Jaspers, si radicalizza ancor più quando Pareyson si rivolge alla critica di quelle filosofie che intendono analizzare esteriormente la verità del pensiero, il cui senso si dà piuttosto nell’interpretazione. Pagano non ritiene di dover sempre sottoscrivere le tesi del Pareyson, alle quali non nega mai grande valore di autenticità e di profondità. Ad esempio, l’autore dell’intervento crede di dover accentuare, rispetto alle stesse tesi del Pareyson, il problema della complessità delle scelte.
Paolo Diego Bubbio approfondisce la tematica pareysoniana secondo linee ancora poco esplorate. Il punto di partenza è l’interpretazione pareysoniana dell’esistenzialismo e l’interpretazione del pensiero di Gabriel Marcel. Quest’ultimo deriva molte sollecitazioni dalla filosofia di Bergson e dalla speculazione idealista di Bradley, che vede, nel tessuto delle relazioni finite, la presenza di un carico di contraddittorietà che ci riporta ad un assoluta coscienza che sta oltre il finito e al di là delle relazioni. La tesi marceliana, che deriva da Bradley, sviluppa il problema in un senso diverso e si delinea come considerazione della problematicità della condizione finita e incarnata dell’uomo. In questo senso la filosofia di Marcel giunge a un nuovo approdo a partire dal superamento dell’idealismo. Quest’ultimo si rivela una posizione in sé stessa aporetica, di cui vanno conservate le spinte di fondo: come ancora sostiene Pareyson, la filosofia attuale, che ha vocazione esistenziale, è una filosofia che non solo avverte la crisi dell’uomo, ma la tematizza e, proprio perché non la minimizza, non si arrende alla deriva nichilista del pensiero contemporaneo. È questo uno dei significati di quella filosofia dell’esperienza religiosa che Pareyson ha tematizzato e cercato di approfondire in misura sempre maggiore nell’ultima e incompiuta fase della sua filosofia.
Francesco Tomatis analizza il rapporto tra il pensiero rivelativo e il dialogo ermeneutico. Sembrerebbe di trovarci su due territori antinomici. Il pensiero rivelativo, fermandosi in sé stesso, potrebbe apparire dissonante rispetto alla tematica del dialogo che si fa interpretazione. Sono in gioco questioni culturali, linguistiche, traduttologiche, filosofiche e anche teologiche assai rilevanti sia in concreto e sia a livello di impostazione generale delle tematiche. È merito di Tomatis porre le questioni su un versante di radicalità che si rivela adeguato alla ricerca e all’interrogazione che egli si pone. Perciò, sulla scorta del Pareyson, Tomatis può affermare: «La trascendenza della verità, lungi dal comportare una sua indicibilità finita e l’impossibilità di un suo atteggiamento singolare, suscita piuttosto la molteplicità interpretativa e il pluralismo dialogico ed espressivo. La verità non è il silenzio unico senza parole, bensì l’origine pura dei più vari suoni, l’apertura per tutte le parole, la libertà alle plurali interpretazioni. La trascendenza della verità ne dice, più che l’inoggettivabilità, propriamente l’inesauribilità» (p. 228). In questo senso, Tomatis non si ferma a dire cosa non intende per verità. Egli non solo nega che l’orizzonte della verità sia la sola e semplice oggettività, ma intende proporre un ulteriore termine, quello di inesauribilità, che è più vicino alle istanze da cui muove l’ermeneutica filosofica contemporanea. Perciò, egli sostiene che la ricerca della verità evita contemporaneamente la prosaicità e la ridondanza delle parole o la chiusura nell’ineffabile e l’approdo al mutismo. In tal modo, e questo è ancor più importante, si può anche aprire la strada ad una comune, talora inusitata esperienza di verità.
Rilevante è la riflessione di Ugo Perone su Celan e sulla questione ermeneutica. Buona parte dell’intervento affronta l’inoggettivabile questione dell’assenza, che ci riporta a tematiche pareysoniane ed ermeneutiche: «L’ermeneutica ci riporta indietro a una condizione che è e che sappiamo perduta, ci invita a ricostruirla come una possibilità di contesto – il contesto di uno spazio e di un tempo. L’ermeneutica è un lavorio affascinante e terribile, perché ci mette di fronte a ciò che dovrebbe essere perché questo mondo, che semplicemente c’è, anche sia, perché il mondo che è, anche ci sia» (p. 203).
In un chiaro intervento Giuseppe Modica (p. 128), riflette, invece, su punti essenziali del pensiero greco che, soprattutto, nell’interrogazione di Socrate e di Platone, si delinea come una filosofia del dialogo e dell’intimo collegamento fra etica e politica. L’autore mette, così, in evidenza la necessità di ritornare a pensare davvero su quelle questioni umane e mai solidificabili sulle quali, fin nell’ultima fase, lo stesso Pareyson non ha cessato di interrogarsi.
In un denso saggio (p. 204), Marco Ravera mostra non solo in che senso sia riduttivo dire che la filosofia di Pareyson sia una filosofia della religione, ma dialetticamente sottolinea in che senso la filosofia di Pareyson sia uno stimolo per il presente e per l’avvenire della filosofia della religione. Ad esempio, nota Ravera, «proprio questa coscienza del limite fa sì che una filosofia della religione degna del nome non possa estenuarsi in inganno ottimistico, ma debba sempre rendere conto del negativo, cioè interrogarsi sul male» (p. 223).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2008, nr. 2
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
I contributi presenti nel volume intendono riflettere sulla filosofia di Pareyson e su alcuni aspetti della filosofia attuale che risultano vicini alla prospettiva nella quale Pareyson si è posto così originalmente. Per Pareyson, infatti, la molteplicità delle interpretazioni segnala la ricchezza di una verità che non è mai chiusa e fissata in sé stessa.
Perciò, Nynfa Bosco ricorda che, nel pensiero filosofico occidentale, si è sempre riproposto il problema della conciliabilità dell’esistenza di Dio e dell’esistenza del male. Si sono succedute interpretazioni che concludono per la non esistenza di Dio a causa della presenza del male nel mondo o che approdano a una relativizzazione del male che fa leva sulla dimostrabilità dell’esistenza di Dio e sulla positività dell’universo. Invece, Nynfa Bosco si dichiara piuttosto interessata ad approfondire un’altre linea, meno classica, che collega autori come Wheithead e Pareyson, i quali hanno ricordato che tratto precipuo del divino è la libertà, che, nella sua radicalità, precede il male stesso. Così Dostoevskij ha sondato profondamente tutte le direzioni di un ateismo che si radica nella constatazione del negativo e del male prima di esprimere il mistero di luce che si manifesta gratuitamente nella redenzione. La lettura dell’opera di Dostoevskij pone le basi per una riflessione integrale sull’esperienza dell’uomo esposto al dolore e al male, all’ingiustizia patita senza colpa, che è il termine estremo su cui riescono ad esercitarsi l’amore e il perdono.
Piero Coda presenta un itinerario pareysoniano che si sviluppa da Esistenza e persona sino agli scritti raccolti in Ontologia della libertà. Questione centrale è trovare, nella filosofia di Pareyson, la presenza di un logos che si ponga in ascolto delle domande fondamentali dell’esistenza. Esso si distanzia dall’autoimposizione di una certa forma di logos, quale quello di parte della modernità, che tende a cedere alla logica del dominio e dell’autosufficienza dell’uomo. L’esperienza del mondo è, invece, l’esperienza complessa, talora sofferta e tragica, della trascendenza e della libertà che si rivelano nello stupore, nell’amore, nella compartecipazione al dolore. La filosofia pareysoniana approda, per un’interiore bisogno, ad una filosofia della libertà e ad una filosofia dell’esperienza religiosa, nella quale il teologo può scorgere la ricchezza e il mistero del logos della croce.
Anche Aldo Magris si interroga sul tema della libertà, vedendone le radici etimologiche, culturali e storiche anche nella grecità e nella romanità. A questo proposito, segnalando l’attenta analisi aristotelica del tema della libertà, va anche ricordato che Magris, nella scia del Pareyson, intende proporre il tema della libertà in un orizzonte più ampio, che trascende anche quello classico e ancora troppo settoriale della libertà di tipo morale. Ponendosi su questa strada, Magris ritiene che si possa comprendere il significato della filosofia pareysoniana: «ho cercato di illustrare l’originalità della filosofia pareysoniana dell’ultimo periodo e le prospettive nuove che dischiude. Ho espresso sin dall’inizio una mia convinzione, che spero risulti ora sufficientemente giustificata. La filosofia della libertà non è una ‘filosofia seconda’, l’ennesima proposta di ‘filosofia pratica’ o di meditazione ‘esistenziale’ che sorvola sui grossi nodi del pensiero trasmessi dalla metafisica (nonostante Pareyson abbia conservato sempre un’ispirazione esistenzialistica), bensì una filosofia ‘prima’ a tutti gli effetti, cioè un’ontologia nell’accezione fondamentale del termine, che pensa l’essere come evento in base ai concetti di discontinuità e di puro cominciamento. Anzi sarei portato a dire che, in tale ontologia, proprio il valore etimologico di ‘libertà’ sia conservato a monte dello scivolamento semantico in senso sociologico» (p. 126).
Claudio Ciancio si confronta con la questione della verità nell’orizzonte di filosofie, come quella di Heidegger, che l’hanno radicalmente ri-tematizzata. L’analisi tende a mettere in discussione non solo la concezione della verità come esattezza e conformità, ma anche l’orizzonte di problematizzazione della metafisica hegeliana che, identificando il vero e l’intero, vede nel tutto logico la realtà tutta dispiegata dello Spirito. Sulla base di ampie letture dell’opera del Pareyson, Ciancio non accetta né letture neutrali e impersonali, né gnoseologiche né destinali della tematica della verità e di quelle della non-verità, dell’errore e del male che tanto segnano profondamente l’esperienza umana. Occorre riproporre, sulle orme del Pareyson, la questione del positivo e del negativo, del bene e del male nella prospettiva della libertà.
Maurizio Pagano, nel suo denso intervento, delinea alcuni aspetti di fondo del pensiero pareysoniano. Fin dagli anni della propria formazione universitaria, egli si è confrontato con le tesi del Pareyson, secondo cui è necessario superare l’oggettivismo e il soggettivismo. Quest’impostazione, che deriva anche dalla lettura di Jaspers, si radicalizza ancor più quando Pareyson si rivolge alla critica di quelle filosofie che intendono analizzare esteriormente la verità del pensiero, il cui senso si dà piuttosto nell’interpretazione. Pagano non ritiene di dover sempre sottoscrivere le tesi del Pareyson, alle quali non nega mai grande valore di autenticità e di profondità. Ad esempio, l’autore dell’intervento crede di dover accentuare, rispetto alle stesse tesi del Pareyson, il problema della complessità delle scelte.
Paolo Diego Bubbio approfondisce la tematica pareysoniana secondo linee ancora poco esplorate. Il punto di partenza è l’interpretazione pareysoniana dell’esistenzialismo e l’interpretazione del pensiero di Gabriel Marcel. Quest’ultimo deriva molte sollecitazioni dalla filosofia di Bergson e dalla speculazione idealista di Bradley, che vede, nel tessuto delle relazioni finite, la presenza di un carico di contraddittorietà che ci riporta ad un assoluta coscienza che sta oltre il finito e al di là delle relazioni. La tesi marceliana, che deriva da Bradley, sviluppa il problema in un senso diverso e si delinea come considerazione della problematicità della condizione finita e incarnata dell’uomo. In questo senso la filosofia di Marcel giunge a un nuovo approdo a partire dal superamento dell’idealismo. Quest’ultimo si rivela una posizione in sé stessa aporetica, di cui vanno conservate le spinte di fondo: come ancora sostiene Pareyson, la filosofia attuale, che ha vocazione esistenziale, è una filosofia che non solo avverte la crisi dell’uomo, ma la tematizza e, proprio perché non la minimizza, non si arrende alla deriva nichilista del pensiero contemporaneo. È questo uno dei significati di quella filosofia dell’esperienza religiosa che Pareyson ha tematizzato e cercato di approfondire in misura sempre maggiore nell’ultima e incompiuta fase della sua filosofia.
Francesco Tomatis analizza il rapporto tra il pensiero rivelativo e il dialogo ermeneutico. Sembrerebbe di trovarci su due territori antinomici. Il pensiero rivelativo, fermandosi in sé stesso, potrebbe apparire dissonante rispetto alla tematica del dialogo che si fa interpretazione. Sono in gioco questioni culturali, linguistiche, traduttologiche, filosofiche e anche teologiche assai rilevanti sia in concreto e sia a livello di impostazione generale delle tematiche. È merito di Tomatis porre le questioni su un versante di radicalità che si rivela adeguato alla ricerca e all’interrogazione che egli si pone. Perciò, sulla scorta del Pareyson, Tomatis può affermare: «La trascendenza della verità, lungi dal comportare una sua indicibilità finita e l’impossibilità di un suo atteggiamento singolare, suscita piuttosto la molteplicità interpretativa e il pluralismo dialogico ed espressivo. La verità non è il silenzio unico senza parole, bensì l’origine pura dei più vari suoni, l’apertura per tutte le parole, la libertà alle plurali interpretazioni. La trascendenza della verità ne dice, più che l’inoggettivabilità, propriamente l’inesauribilità» (p. 228). In questo senso, Tomatis non si ferma a dire cosa non intende per verità. Egli non solo nega che l’orizzonte della verità sia la sola e semplice oggettività, ma intende proporre un ulteriore termine, quello di inesauribilità, che è più vicino alle istanze da cui muove l’ermeneutica filosofica contemporanea. Perciò, egli sostiene che la ricerca della verità evita contemporaneamente la prosaicità e la ridondanza delle parole o la chiusura nell’ineffabile e l’approdo al mutismo. In tal modo, e questo è ancor più importante, si può anche aprire la strada ad una comune, talora inusitata esperienza di verità.
Rilevante è la riflessione di Ugo Perone su Celan e sulla questione ermeneutica. Buona parte dell’intervento affronta l’inoggettivabile questione dell’assenza, che ci riporta a tematiche pareysoniane ed ermeneutiche: «L’ermeneutica ci riporta indietro a una condizione che è e che sappiamo perduta, ci invita a ricostruirla come una possibilità di contesto – il contesto di uno spazio e di un tempo. L’ermeneutica è un lavorio affascinante e terribile, perché ci mette di fronte a ciò che dovrebbe essere perché questo mondo, che semplicemente c’è, anche sia, perché il mondo che è, anche ci sia» (p. 203).
In un chiaro intervento Giuseppe Modica (p. 128), riflette, invece, su punti essenziali del pensiero greco che, soprattutto, nell’interrogazione di Socrate e di Platone, si delinea come una filosofia del dialogo e dell’intimo collegamento fra etica e politica. L’autore mette, così, in evidenza la necessità di ritornare a pensare davvero su quelle questioni umane e mai solidificabili sulle quali, fin nell’ultima fase, lo stesso Pareyson non ha cessato di interrogarsi.
In un denso saggio (p. 204), Marco Ravera mostra non solo in che senso sia riduttivo dire che la filosofia di Pareyson sia una filosofia della religione, ma dialetticamente sottolinea in che senso la filosofia di Pareyson sia uno stimolo per il presente e per l’avvenire della filosofia della religione. Ad esempio, nota Ravera, «proprio questa coscienza del limite fa sì che una filosofia della religione degna del nome non possa estenuarsi in inganno ottimistico, ma debba sempre rendere conto del negativo, cioè interrogarsi sul male» (p. 223).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2008, nr. 2
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
Recensione della rivista Il Regno
A partire dalla riflessione filosofica di Luigi Pareyson, verso quali nuovi temi è possibile andare? Con questo interrogativo è nato il vol. Sviluppando un cammino che dall'esistenzialismo è passato al personalismo ontologico e da questo all'ontologia della libertà, gli aa. giungono a identificare i possibili sviluppi nell'ambito dell'esistenza e del logos. La forte permeabilità del pensiero di P. alla dimensione di un cristianesimo drammatico apre a un'esistenza come vita personale che introduce nella realtà in quanto tale e nella quale il logos unisce la dimensione argomentativa a quella rivelativa. Fra gli aa.: N. Bosco, C. Ciancio, A. Magris, G. Modica, M. Pagano, U. Perone, M. Ravera, F. Tomatis.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 14
(http://www.ilregno.it)
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 14
(http://www.ilregno.it)
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