Il Vescovo di Roma
(Studi e ricerche. Sez. teologica)EAN 9788830812031
Chi ha vissuto l’avventura di incontrare anche solo alcune volte negli anni ?80 e ?90 lo studioso domenicano p. Tillard e ha potuto ascoltarne gli interventi in un vivacissimo francese, ne è rimasto affascinato. Qualcosa di quel fascino, pur criticamente filtrato, traspare anche dal volume di F. Nigro, giovane teologo del nostro Sud, che tenta di mettere a fuoco, puntualmente e pacatamente, il contributo tillardiano sul tema del primato petrino nell’approccio dialogico tra cattolici, ortodossi e anglicani.
A conclusione del suo lungo scavo il giovane responsabile dell’Uufficio catechistico di Taranto enumera i cinque sentieri su cui lo studioso franco-canadese, spentosi a Ottawa nel novembre del 2000, ha invitato i cristiani a camminare per riscoprire insieme il perché di un ministero di comunione nella fede e nella missione (cf. pp. 420-435). Nigro li precisa nella via martirologica (o via fidei per confermare i fratelli), nella via caritatis (o unitatis nel principio di comunione e di sussidiarietà), nella via communionis (o della cattolicità come dimensione costitutiva ed essenziale dell’essere chiesa), nella via pascendi (o episcopale, che rimarca il dato locale della chiesa come manifestazione hic et nunc) e nella via sacrificandi (o eucaristica nell’essere unito costantemente al sacrificio di Cristo per la comunione ecclesiale): l’ultima abbraccia le altre, all’interno di una economia di comunione. Ma per capire e valorizzare i sentieri conclusivi, conviene ovviamente percorrere un po’ piú adagio le 460 pagine dell’impegnativo volume edito da Cittadella.
All’inizio incontriamo la breve presentazione di I. Spiteris, arcivescovo cappuccino greco di Corfú, capace di indicare le categorie a cui sono sensibili i fratelli ortodossi. Nigro aggiunge una impegnata introduzione al suo lavoro in merito alla relazione tra primato del vescovo di Roma e collegialità episcopale, con l’auspicio «di poter affermare la validità e la necessità del ministero petrino del vescovo di Roma per l’essere e non solo per il ben-essere della chiesa di Dio, una e unica nella sua fondazione e nel progetto salvifico di Dio» (p. 27). Le pagine introduttive offrono l’occasione di focalizzare il concetto costante di Tillard nella sua ecclesiologia di comunione, esposto nel sottotitolo e già suggerito da Cipriano e da altri padri. Lo scavo vero e proprio inizia con il richiamo (nel primo capitolo) della vita, delle opere e del pensiero del brillante domenicano franco-canadese, nato in una piccola isola dei territori francesi d’Oltremare di fronte alle coste del Canada.
Vengono anzitutto indicati i due teologi ispiratori di Tillard: il confratello e amico Yves Congar che lo introduce nella natura comunionale della chiesa e il greco Ioannis Zizioulas che gli insegna l’ecclesiologia eucaristica ortodossa insistente su «la visione “personale” del mistero trinitario, la relazione tra cristologia, pneumatologia e istituzioni ecclesiali, la visione del primato» (p. 41). Fondamentale è fin dalle prime pagine (ma verrà ripreso piú avanti, ad esempio alle pp. 250, 297, 375, 414, 419) l’appoggio al can. 34 degli Apostoli sul ruolo del prôtos all’interno della comunione con gli altri vescovi in un sistema sinodale che accentua la comunione con le altre chiese, preferito comunque alla precedenza della chiesa universale. Per il teologo d’Oltremare riescono particolarmente fecondi gli anni del Vaticano II (Tillard ne è «perito» conciliare per l’episcopato canadese a soli 35 anni), mentre il dopo-Concilio lo vede impegnato nelle commissioni ecumeniche di Fede e Costituzione e nei dialoghi tra cattolici, ortodossi e anglicani, in un vasto raggio di temi affrontati.
Conclusivamente la sua svolta ecclesiologica si concretizza nelle tre opere che rappresentano la struttura portante della sua produzione teologica: Chiesa di chiese, Carne di Cristo carne della chiesa, L’Èglise locale (anche se il piú noto è Il vescovo di Roma). Il tutto orienta alla constatazione ecumenica: «L’intransigenza confessionale [suggerita dalla autosufficienza] appare piú che mai la vera causa delle divisioni» tra le chiese, perché blocca la conspiratio in unum che garantisce la ricerca della comunione tra le chiese e i vescovi (cf. pp. 56-57). L’attività e l’esistenza umana di Tillard si spegne in un inverno canadese freddo e grigio non solo meteorologicamente: oltre alla lunga malattia, lo fa soffrire l’iper-devozione al papa con punte che sfiorano l’eresia, mentre egli con insistenza aveva recuperato espressioni patristiche come, appunto, «vescovo di Roma» e «vicario di Pietro», che intendono il ministero del papa come personalità corporativa nel legame imprescindibile di corresponsabilità tra papa e collegio episcopale. Il secondo capitolo passa in rassegna i riferimenti storici essenziali, con occhio particolare sul primo millennio.
Tillard analizza con cura l’evoluzione teologica del legame profondo tra Pietro e il vescovo di Roma nella prima comunità cristiana: attraverso Ignazio, Ireneo e Cipriano fino ad Agostino lo studioso domenicano coglie il passaggio graduale dal ruolo della chiesa di Roma (come punto di riferimento della chiesa intera, in quanto comunità depositaria del ministero e del martirio dei due corifei Pietro e Paolo) al vescovo di Roma in una successione personale e in una relazione particolare e unica con l’apostolo Pietro. Tillard si rifà alle prime forme di sinodalità provinciale e regionale fino all’emergere di centri di aggregazione con la relazione vescovi-primate nel contesto dei grandi blocchi geografici e culturali in cui si sviluppa l’istituto patriarcale: la comunione tra vescovi implica l’eucaristia celebrata insieme ma anche il sinodo come ricerca dell’unità nella fede e nella carità attiva.
L’incarico del vescovo di Roma è quello di promuovere e armonizzare la solidarietà tra le chiese, senza pretesa di essere vescovo «universale». Del dinamismo sinodale emerge uno sviluppo divergente tra l’Oriente imperiale e l’Occidente papale, con un progressivo allontanamento reciproco. In contemporanea si passa dal primato della chiesa di Roma (per il legame unico con i prìncipi degli apostoli che vi hanno versato la loro dottrina e il loro sangue) al primato del suo vescovo («sentinella che veglia»): il che favorisce uno sbilanciamento teologico ed ecclesiale verso la successione al solo Pietro, non anche a Paolo. All’epoca dei grandi concili il parallelismo tra struttura civile ed ecclesiale aiuta l’importanza di Costantinopoli e della pentarchia.
Il ministero del vescovo di Roma viene comunque colto nella dimensione del servizio di un vescovo e di una chiesa per altri vescovi e chiese, con personalità del calibro di Giulio I e Leone Magno, capaci di contrastare con forza l’ascesa della nuova Roma, Costantinopoli. Per Tillard il ruolo della chiesa di Roma e della sua sede si fondano e si giustificano nel dinamismo testimoniale e di fede proprio dei principi degli apostoli. Il vescovo di Roma è detto «vicario di Pietro» piú che successore: ne riattualizza il ministero sulla linea dello zikkaron biblico. Saranno i papi medioevali a essere visti addirittura come vicari di Cristo in modo assoluto e unico. Tillard è attento anche nel disegnare, come accennato, il passaggio dalla leadership della chiesa di Roma alla leadership del papa sugli altri vescovi, con le varie domande che sorgono sulla questione e che fanno scrivere a Tillard: «Il suo primato è veramente quello del primus inter pares, un primus veramente primus (e non semplicemente titolo onorifico), ma dall’altro lato dei pares che sono veramente pares e non derivano da lui il loro potere e la loro missione: questi li conferisce solo lo Spirito del Signore. Il primo (prôtos) non assorbe gli altri» (pp. 117-118). I vescovi di Roma si succedono sulla cattedra che è memoria di Pietro (con l’exousia per l’unità della testimonianza apostolica) e di Paolo (con l’exousia per la cattolicità della missione): è un ministero di «memoria» vivente nelle loro comunità. Invece, a cavallo dei due millenni, dopo i lampi fraterni di Gregorio Magno, va alla deriva la communio ecclesiarum a favore di una visione riduttiva e monarchica del primato fino alla plenitudo potestatis del Christi vicarius dopo Innocenzo III.
In tale deriva anche Tommaso d’Aquino non ha una chiara riflessione teologica sulla relazione tra primato papale e potere dei vescovi, essendosi creato uno iato tra ordinazione sacramentale e potestas episcopale. In seguito il ministero pontificio subisce la decadenza con la cattività avignonese e lo scisma d’Occidente, registrando tuttavia una devozione al papa nel titolo usato anche da Caterina di Siena. Cosí Nigro accompagna passo passo il percorso storico di Tillard con piú d’una osservazione critica nelle note (cf. ad esempio a p. 93), ma soprattutto segnala un vuoto storico nell’assenza di una analisi del passaggio tridentino e della riforma protestante, importante per l’impianto teologico complessivo dello studioso domenicano. Rapidamente si passa nel terzo capitolo alla rilettura dei due concili del Vaticano, disegnando il complesso scenario storico-ecclesiale che prepara e condiziona il Vaticano I.
Per Tillard accenti critici molto marcati anche sul piano umano e psicologico accompagnano la figura di Pio IX nel contesto dell’ultramontanismo devoto, che relega i vescovi a un rango subalterno. L’assenza dell’Oriente cristiano segna un primo limite del concilio Vaticano I, in cui emerge la visione monarchica della chiesa, spiegata tuttavia dall’ottimo relatore mons. Zinelli in «modi» molto apprezzati da Tillard. Anche le affermazioni emerse dal dibattito conciliare offrono l’opportunità di correlare i poteri episcopali ordinari e immediati sia del papa che del vescovo diocesano, attenuando il disagio che si avvertiva in seno all’assemblea, specie nella agguerrita minoranza. Per la corretta lettura delle decisioni conciliari sulla relazione papa-vescovi, Tillard richiama l’importanza della dichiarazione dei vescovi tedeschi del 1875 in risposta al cancelliere Bismarck e la successiva lettera di Pio IX a sostegno dell’episcopato. Per Tillard la vera conquista del Vaticano I è la lettura del ministero papale come veramente episcopale collocandolo all’interno dell’unico e indivisibile corpo episcopale e presentandolo come principium unitatis.
Anche sull’infallibilità Tillard tiene a segnalare il carattere non permanente e accompagnato de facto dalla piena sinergia con gli altri vescovi, come piú tardi nel Vaticano II il n. 25 della Lumen gentium preciserà, cambiando il quadro e la sensibilità sulla sacramentalità dell’episcopato. «Alla logica della subordinazione segue l’ecclesiologia della comunione, grazie anche all’apporto offerto dalla teologia orientale» (p. 204). La responsabilità del vescovo di Roma è inserita nella responsabilità comune e per essa: perciò la «solitudine» del papa per Tillard dovrebbe essere armonizzata con una maggiore autonomia degli episcopati nazionali. A questo punto del volume viene spontaneo il desiderio di richiamare in rapida sintesi gli apporti originali di Tillard sul ministero del vescovo di Roma in chiave comunionale: siamo al quarto capitolo, che tuttavia si presenta come il piú lungo (cf. pp. 213-331) e talvolta ripetitivo (a nostro avviso, inutilmente) dei capitoli precedenti. Si ritorna cosí sul termine «vicario» preferito a successore, sulla precedenza teologica di ogni chiesa sul suo vescovo («la sedes precede sempre il suo sedens»: p. 217), sulla comunione come corresponsabilità del vescovo locale con i sacerdoti, i religiosi e i laici; sul «papa» perché vescovo di Roma segnata dal martirio dei due apostoli; sul ministero petrino come memoria testimoniale e ministeriale in una responsabilità speciale di vegliare sui fratelli; sulla sua autorità come «principium unitatis fidei et communionis che deve evidentemente articolarsi in quella degli altri vescovi» (p. 236), collocandoli nella comunione e nell’autenticità della fede apostolica con la loro chiesa. Va ricordata l’espressione «ultima istanza», perché Roma non si immischia continuamente nell’amministrazione delle altre diocesi (cf. p. 240): per Tillard l’autorità ha perciò finalità dossologica e comunitaria.
Nella sua missione profetica il vescovo di Roma è un punto di riferimento costante del dialogo interconfessionale e religioso a livello internazionale, partendo da «una potestas vere episcopalis e dal principio di sussidiarietà», svolgendo la missione di «situare nella comunione» e di «orientare al servizio per la comunione universale» nel rispetto dell’autorità legittima dei vescovi nelle rispettive chiese, mai a loro discapito (cf. pp. 244-247). La visione «eucaristica» del ministero del vescovo di Roma punta all’altare condiviso come fonte stessa della comunione in Cristo, con la missione di sacrificarsi perché la chiesa-comunione si realizzi nella collaborazione e sinergia delle diverse responsabilità dell’episcopé. Nel toccare il nervo scoperto del rapporto tra primato e sinodalità Tillard usa toni piuttosto duri («esagerati» a parere di Nigro: cf. p. 258 e 264) sulla struttura attuale del sinodo romano privo di potere deliberativo, a carattere episodico e non sempre capace di vera receptio verso il sensus fidei di tutti i fedeli. Il nervo scoperto prosegue nel valore delle Conferenze episcopali come espressione della collegialità, per finire nella personalità corporativa del prôtos che implica circolarità e «doppio respiro» tra il papa che rappresenta i vescovi e questi che si riconoscono in lui.
Il principio di sussidiarietà dovrebbe aiutare a ridimensionare la mens latina, valorizzando i patriarcati orientali e facendo del papa un direttore di coro piú che un generale d’armata (cf. p. 297), onde riscoprirne la dimensione diaconale e martirologica. Nelle 120 pagine del capitolo Nigro rimprovera piú volte a Tillard di accompagnare le sue originali osservazioni con il tono esagerato delle delusioni che sfiorano il rimprovero: tra Nigro e Tillard si interpone la distanza di esperienze e di generazioni diverse di credenti. Chi ha vissuto il concilio Vaticano II come una Pentecoste e ne ha accolto l’invito pressante a una conversione di mentalità, ha anche coltivato facili sogni verso una chiesa piú fraterna e sinodale. Tillard va annoverato tra i «sognatori» piú vivaci del dopo-Concilio, e le delusioni vengono accompagnate facilmente da toni ipercritici (cf. anche la nota 12 nella Conclusione a p. 423). Almeno parzialmente Nigro si trasforma in avvocato difensore nel capitolo quinto sulla recezione dell’ecclesiologia di Tillard, perché nella maggior parte dei casi l’esigenza di chiarimenti da parte di vari autori si accompagna a rispetto e stima verso lo studioso domenicano. La recezione inizia dal confronto con la Communionis Notio firmata dal card. Ratzinger sul rapporto tra chiesa locale e chiesa universale. Due visioni teologiche diverse, ma possibili nella comunanza di fede a parere di Tillard, si rifanno a due grandi scuole di pensiero: l’una tendenzialmente platonica, l’altra piú vicina al pensiero aristotelico, si confrontano anche sulla figura biblica della chiesa di Gerusalemme, che ne permette la simultaneità e la complementarietà (cf. spec. pp. 350 e 357).
I limiti emersi dagli scritti di Tillard possono essere sintetizzati in quattro aree semantiche, in cui almeno una cinquantina di diversi autori si possono inserire per una loro lettura critica dell’opera tillardiana: anzitutto l’uso sovrabbondante di certe espressioni a scapito di altre dimenticate precede le imprecisioni in ambito ecclesiologico ed ecumenico («alla base di tutto figura il desiderio di essere con il papa, ma non sotto il papa»: p. 393) e le difficoltà che incontra il suo metodo storico proiettato piú ad probandum che ad narrandum (cf. p. 405); non va infine dimenticato che per Tillard il Codice di diritto canonico si inserisce sempre in un secondo momento nel suo pensare. Alla fine molta strada resta ancora da fare, a parere di Nigro, «ma le tesi di Tillard rimangono una pietra miliare – e una testimonianza significativa – di un percorso di ricerca condotto con coraggio e parresia, nella dedizione piú piena alla causa ecumenica e per amore alla chiesa» (p. 418). Dire che abbiamo letto con gradimento la fatica di uno studioso del nostro Sud è affermare una cosa ovvia, tanto piú che sui testi di p. Tillard anche chi firma questa segnalazione ha «perduto» piú di qualche giornata meditativa.
La notevole simpatia verso lo studioso d’Oltreoceano, incontrato alcune volte a Roma in quello che allora si chiamava Segretariato per l’unità dei cristiani, in compagnia di Luigi Sartori, mi invita ad assolvere facilmente il suo linguaggio talora ipercritico. Vi leggo la delusione (già accennata) dei sogni conciliari, oltre che il peso della sua malattia negli ultimi anni. Ma il lampo della sua intelligenza teologica e linguistica si può intuire nella confidenza dell’arcivescovo Spiteris quando, in un momento di difficile intesa nel dialogo ortodosso-cattolico, si sentí suggerire dal metropolita ortodosso Zizioulas: «Qui ci vorrebbe Tillard» (p. 9 della Prefazione).
Di Nigro perciò condivido l’atteggiamento di avvocato difensore che l’A. assume nell’ultima parte del suo bel libro. Da buon «nonno» gli auguro capacità di sintetizzare qualche passaggio a favore del lettore, dato che ne dimostra la capacità nelle cinque vie finali (qui segnalate all’inizio della recensione); e, se permette, gli raccomando una lettura attenta delle bozze, prima di dare l’ok per la stampa: d’accordo che bisogna saper convivere con gli errori di stampa, ma quando, specie nelle note e nei titoli in latino, gli errori superano certe soglie, anche i nonni non sorridono piú.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 3/2012
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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