La libertà nel pensiero francescano
-Un itinerario tra filosofia e teologia
(Studi e ricerche)EAN 9788827011638
La tesi sostenuta in questo nuovo libro di padre Orlando Todisco OFMConv – un autore che non ha certo bisogno di presentazioni per i lettori de «Il Santo» – è estremamente chiara. Nel pensiero francescano la libertà è un concetto chiave: il mondo stesso è frutto di una volontà assolutamente libera, quella del Creatore; le creature esistono perché sono volute da Dio, e a lui esse rimandano; gli esseri umani, frutto del libero dono di un Dio che si dona, sono chiamati a loro volta a donarsi liberamente e creativamente.
A questa visione, che il francescanesimo ricava dalla rivelazione biblica, si oppone quella che è stata sinora prevalente nel pensiero occidentale, in cui il concetto chiave è invece quello della verità come espressione di necessità, la necessità di un essere che non può non essere e che la ragione è in grado di cogliere nella sua oggettività. Non l’essere come dono, ma l’essere come diritto è quello che contrassegna la corrente di pensiero che, sorta nell’antica Grecia in forma filosofica, secondo Todisco si è prolungata nella scienza moderna ed è sfociata nella tecnocrazia contemporanea.
Di fronte all’esito radicalmente naturalistico a cui è pervenuta la classica nozione di physis, già in origine viziata dall’assenza del riferimento alla contingenza della natura come effetto della volontà del Creatore, la Weltanschauung francescana si pone quale alternativa capace non tanto di risolvere i problemi attuali, quanto di "tappare" la falla da cui essi sgorgano, ossia il primato della necessità sulla libertà (cf. p. 74). Todisco cerca di mostrarlo attraverso un percorso in quattro tappe, dedicate al fondatore e a tre protagonisti della prima Scuola francescana: san Francesco stesso, dunque, e le grandi figure di Bonaventura da Bagnoregio, Giovanni Duns Scoto e Guglielmo di Ockham. Si tratta di un percorso che è solo in parte storico, nel senso che, come dichiara l’autore, «Più che ripercorrere le tappe della libertà al seguito della Scuola francescana, qui si vorrebbe pensarla assieme ai suoi protagonisti, chiedendoci perché sia la fonte primaria della gratitudine, come sia stata vissuta, quale spazio abbia occupato e, infine, quale sia oggi la sua fecondità, teoretica ed esistenziale» (p. 18; corsivo dell’autore).
I temi toccati nei quattro capitoli in cui si articola il libro sono troppo numerosi per essere riassunti qui. Una sintesi, estrema ma efficace, è fornita da Todisco alle pp. 18-19:
1. La libertà allo stato incandescente di Francesco d’Assisi, per il quale l’uomo non è servo d’alcuno, nè possessore d’alcunché, ma figlio di Dio; 2. la libertà creativa propria dell’artista con Bonaventura, per il quale il mondo è l’opera del Verbo, supremo artista del Padre, e la storia è, o dovrebb’essere, l’opera d’arte dell’uomo, a immagine di Dio; 3. la libertà speculativa propria del metafisico con Duns Scoto, per il quale l’univocità dell’essere è lo spazio della libertà di pensiero e di azione sia di Dio che dell’uomo; 4. la libertà legislativa propria del politico con Guglielmo d’Occam, per il quale chi presiede alla vita della Chiesa o alla vita della città è chiamato a rispettare e a sostenere la libertà creativa sia del fedele che del cittadino.
In maniera sistematica e coerente, l’autore applica lo schema antitetico libertà-vs-necessità ad alcuni degli episodi più noti della vita di Francesco, come l’incontro con i lebbrosi e il colloquio con il sultano, e ad alcune delle dottrine più famose dei tre pensatori citati, dall’esemplarismo bonaventuriano all’univocismo scotiano, fino al nominalismo occamiano. I risultati sono suggestivi, anche se non sempre sono del tutto convincenti. Ad esempio, è storicamente indimostrabile, e concettualmente un po' anacronistico, che «la tematica su cui Francesco intrattenne il sultano» fu quella che, «se non si mette mano a un cambio di prospettiva, passando dall’essere-come-diritto all’essere-come-dono, dalla rivendicazione all’oblazione, lo scontro è sempre incombente» (p. 56). O ancora, pare piuttosto audace sostenere che il motivo di fondo per cui Duns Scoto «prende le distanze dall’impostazione aristotelico-tomista» dell’analogia sia «perché egli ritiene che questa non salvaguardi a pieno per un verso la libertà creativa di Dio e per l’altro l’autonomia dei saperi» (p. 187); questa interpretazione è in sé assai interessante, ma andrebbe consolidata con un’analisi più puntuale dei testi scotiani e una discussione più dettagliata della letteratura critica sul tema dell’univocità in Scoto. Il lettore poi desidererebbe capire meglio come si concilino, in quanto espressioni della medesima esigenza di salvaguardare la trascendente libertà del Creatore, la strenua difesa dell’esemplarismo da parte di Bonaventura, da un lato, e l’altrettanto accanito attacco di Ockham contro ogni forma di verità eterna.
Se alcune posizioni interpretative di Todisco sembrano dunque necessitare di maggiori conferme nei documenti che ci attestano e trasmettono il pensiero degli autori studiati, la lettura delle sue pagine è comunque stimolante e, specialmente nel caso di Ockham, particolarmente persuasiva nel far emergere le istanze squisitamente francescane del Venerabilis Inceptor non solo in sede politica ma anche in ambito logico. Si legge ad es. a p. 276:
"Come il "rasoio" purifica l’area logico-metafisica a favore della libertà creativa di Dio, consentendo di recuperare il carattere contingente del divenire del mondo, e alleggerisce il linguaggio umano, liberandolo dal peso ontologico di categorie che ne irrigidiscono l’articolazione, così la povertà, criticando la potenza mondana della Chiesa e l’autoreferenzialità naturale di ogni essere umano, fa intravedere la forza del messaggio di Cristo e la piega oblativa che il soggetto deve dare alla sua libertà creativa."
Come tutti gli schemi, soprattutto se limpidi e netti, anche quello proposto da Todisco ha i suoi pregi e i suoi limiti. I pregi si apprezzano nella capacità di far percepire i tratti peculiarmente francescani di figure di pensatori anche molto diverse tra loro e l’attualità inattuale, per così dire, della loro visione del mondo. I limiti si avvertono nel rischio di operare semplificazioni e forzature, volendo ricondurre a un comune denominatore dottrine che, almeno apparentemente, sembrano dettate da esigenze molteplici e differenti. È, in fin dei conti, il medesimo pericolo contro cui Ockham ha combattuto, cioè quello di perdere di vista l’individualità irriducibile di ciò che di fatto esiste e di sussumere gli individui concreti in schemi generali che ci permettano di dominare l’esperienza; esperienza in cui dovremmo includere anche quella – così ricca, variegata e sorprendente – della lunga storia del pensiero occidentale.
Tratto dalla Rivista "Il Santo. Rivista francescana di storia dottrina arte" LIX, 2019, fasc. 3
(http://www.centrostudiantoniani.it/)
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