La clausura di Chiara d'Assisi
(Studi e ricerche)EAN 9788827010013
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«L’attribuzione a Chiara di una esplicita volontà claustrale nella vita condotta a San Damiano ha costituito spesso motivo fondativo e giustificativo delle forme di reclusione scelte e vissute dalle sorelle clarisse. Ma e` possibile rintracciare le intenzioni di Chiara su questo progetto? La clausura costituiva un elemento essenziale della forma di vita che Chiara di Assisi volle assumere e condurre a San Damiano? [...] Insomma: la clausura di Chiara e` stata un valore da lei scelto fin da subito o una necessita` accettata come necessaria per integrare la sua proposta di vita dentro la societa` medievale?» (Introduzione, p. 5).
E` questa la delicata problematica affrontata da Pietro Maranesi nel volume: l’autore, nel tentativo di cogliere quale sia stata l’«intentio Clarae» sulla clausura, predilige un approccio storico che, nella prima parte del libro (cap. 1), si sofferma a tracciare un quadro della situazione sociale femminile nel medioevo, mentre nella seconda parte (cap. 2) si concentra sulle fonti clariane, offrendo una panoramica articolata e affascinante, che si auspica apra ulteriori piste di ricerca e approfondimento. Il primo capitolo, La questione sociale e religiosa medievale: clausura e verginita` femminile (pp. 9-51), esplora l’ideale di donna medievale tra verginita` e maternita`, che trova conferma nelle stesse testimonianze fornite al processo di canonizzazione della santa assisiate nelle quali e` proprio la verginita` a costituire «la caratteristica principale lodata e ricordata dai testimoni riguardo alla vita di Chiara prima di iniziare la sua esperienza religiosa» (p. 20).
La vita di nascondimento entro le mura domestiche provava la virtu`, e particolarmente l’onesta`, della nobile donna medievale. Interessante, pur nella sue essenzialita`, e` l’analisi che l’autore compie riguardo alle forme religiose di vita femminile quali spazi privilegiati della condizione verginale. Da una rilettura delle regole monastiche maschili, in particolare della Regola benedettina, si evince che clausura e stabilita` non sono primariamente correlate alla verginita` ma, piuttosto, «a una fuga dal mondo per poter trovare un luogo adatto, un’officina, che permettesse di produrre opere buone» (p. 24). Diversa e`, invece, la situazione per la vita monastica femminile: la clausura e` colta come finalizzata alla «preservazione della verginita` quale perla preziosa da offrire allo sposo celeste» (p. 24).
Esemplificativi sono, in tal senso, testi quali la Regola di Leandro e la Regula monacharum (cf. pp. 24-29). In questo contesto va anche recepita la Forma vitae redatta dal cardinale Ugolino nel 1219, «primo testo emanato direttamente dalla Sede Apostolica per regolamentare la vita religiosa femminile» (p. 32): esso fissa con minuzia i mezzi per assicurare una stretta clausura, per mantenere una netta separazione tra le monache e il mondo (grate, chiavi, spranghe, ecc.). Innocenzo IV e Urbano IV radicalizzano ulteriormente questa normativa: in particolare le Costituzioni urbaniane contribuiscono alla «definitiva sacralizzazione» (p. 39) della clausura, che diventa il quarto voto religioso, insieme a quelli di poverta`, obbedienza, castita`. A questo punto Maranesi ritiene opportuno evidenziare «l’assenza di motivazioni teologiche e spirituali fondative del valore della clausura» (p. 39). «Nelle norme» – sottolinea l’autore – «al centro non vi e` mai il valore della preghiera e della ritiratezza per la contemplazione, da difendere con il silenzio e la solitudine, ma la preoccupazione di evitare ogni cosa che possa costituire pericolo per l’onorabilita` delle suore» (p. 41).
Considerando tanto le Costituzioni ugoliniane, quanto le lettere papali, Maranesi nota come dal 1227 Gregorio IX cominci a utilizzare l’aggettivo «recluse» in riferimento all’Ordine delle monache di San Damiano: nell’insieme i documenti presi in esame (cf. pp. 39-51) tradiscono la preoccupazione di fare della clausura un aspetto fortemente identitario e «l’elemento risolutivo della nuova esperienza religiosa femminile» (p. 50), senza una fondazione teologica della stessa, ma nell’intento di creare una netta separazione tra le monache e il mondo esterno. Nel secondo – e piu` stimolante – capitolo del lavoro, La clausura dentro il progetto di Chiara: una necessita`o un valore?, l’autore si propone di articolare la sua argomentazione su due piani: quello originario ideale di Chiara, il piano motivazionale – potremmo dire – suscitato dall’incontro con Francesco e quello che e` possibile cogliere dagli scritti della santa, esito di una riflessione matura. Quale la percezione e il ruolo da lei assegnato alla clausura in questi due ambiti? Rileggendo le diverse narrazioni (pp. 55-63) dei primi incontri tra Chiara e Francesco (gli Atti del Processo di canonizzazione, la bolla Clara claris praeclara, la Vita di santa Chiara vergine), Maranesi coglie come il modello di conversio offerto dal Santo – la provocazione della sua stessa esperienza – presumibilmente non comprendeva quale riferimento ideale «la clausura per conservare la verginita` a favore delle nozze mistiche quale fuga dal mondo, ma l’apertura misericordiosa a questo mondo cos?` da essere un dono ai poveri» (p. 63).
Altro elemento dirompente a sostegno di questa posizione e` la scandalosa fuga notturna della giovane «dalla clausura paterna all’obbedienza a Francesco» (p. 63), entrando «in una logica di rottura con la societa` e la famiglia in due elementi fondamentali: quello del prestigio sociale, scegliendo la poverta`, e quello della custodia femminile, iniziando a vivere un’insicurezza simile a quella dei frati» (p. 69), non avendo lo stesso Francesco alcun piano preciso per lei all’inizio. Espressione di tale incertezza e` il passaggio di Chiara dapprima nella ricca realta` monastica di San Paolo e, poco dopo, nella comunita` piu` aperta e in qualche modo eremitica di Sant’Angelo. L’autore ritiene qui necessario soffermarsi a riflettere sulle motivazioni della scelta di San Damiano e sul ruolo giocato dalla clausura nella preferenza di questo luogo (cf. p. 75). La questione e` ampiamente dibattuta dal Maranesi (pp. 75-88) che, ammettendo la carenza di fonti riguardanti i primissimi tempi di San Damiano, giudica comunque accettabile l’ipotesi che «la natura abitativa di San Damiano, molto simile agli altri luoghi minoritici, e la presenza «semplice e facile» dei frati nelle strutture interne di San Damiano costituiscono elementi significativi che spingono a ipotizzare un ruolo marginale, agli inizi, della scelta claustrale del primo gruppo di sorelle» (p. 85).
La clausura sarebbe stata, piuttosto, «il frutto di un compromesso necessario tra novita` evangelica abbracciata nell’obbedienza a Francesco e appartenenza a una societa` medievale il cui giudizio sulle donne religiose itineranti non era per nulla positivo» (p. 87). Quale, dunque, la proposta ideale di Chiara? L’autore tenta di formulare una risposta ascoltando – con attenzione storiografica – gli scritti fondativi della sua esperienza: le Lettere ad Agnese (pp. 89-98), la Forma di vita (pp. 98-139) e il Testamento (pp. 139-153). Il primo gruppo di testi si caratterizza per un frequente ricorso alla metafora sponsale legata, pero`, non alla clausura ma alla poverta` come spogliamento per una piu` libera reciprocita` d’amore. La Forma di vita – testo composto da Francesco e collocato poi da Chiara al centro dei dodici capitoli della sua Regola – viene dall’autore considerata nel contesto della complessa relazione tra la santa e l’ideale claustrale espresso dalle Costituzioni papali. Riguardo a questo aspetto Maranesi ritiene di individuare indizi che «spingono a pensare che a San Damiano» – anche rispetto ai monasteri del centro Italia (cf. pp. 103-107) – «vi sia stata sempre una propria autonomia di vita, con la presenza di un testo legato alla forma di vita di Francesco, quale piccolo e fondamentale nucleo identitario intorno al quale si e` sviluppata poi una normativa progressiva» (p. 117).
A partire da questi presupposti l’analisi del testo della Regola mette in luce le componenti francescano-clariane e ugoliniano-monastiche all’interno della stessa: a queste ultime vanno ascritti i riferimenti normativi alla clausura, in uno stile segnatamente giuridico. La clausura si configura dunque per Chiara come «una scelta ‘‘necessaria’’ per dare corpo a una scelta ‘‘liberamente accolta’’ nell’obbedienza a Francesco» (p. 138). La rilettura del Testamento rileva, in continuita` con il testo della Regola, la pregnanza strategica assegnata al tema dell’amore per la poverta` radicale, liberamente scelta, e dell’unita` fraterna tra le sorelle, attingendo specialmente alla Regola del Santo. Maranesi nota, inoltre, come nel Testamento Chiara non usi mai il termine «abbadessa», sostituendolo piuttosto con circonlocuzioni, quasi a suggerire il rifiuto di un vocabolo monastico. Le sorelle, poi, vengono designate come «sorelle povere» o semplicemente «sorelle», senza qualifiche legate alla reclusione. Dopo la morte di Chiara, con le Costituzioni di Urbano IV del 1266, si assiste al passaggio dall’Ordine di San Damiano all’Ordine di santa Chiara, con la ripresa in chiave identitaria della clausura.
Le sorelle di San Damiano, trasferitesi all’interno delle mura di Assisi, difendono la loro adesione alla Regola approvata nel 1253 e ne ottengono, per se stesse, la conferma da parte di Clemente IV. Questa situazione, pero`, da` adito a quello che l’autore definisce «una specie di paradosso storico» (p. 152): la comunita` di Assisi, pur appartenendo a un Ordo, osservava una Regola diversa rispetto a quella dell’Ordo sanctae Clarae. In conclusione Maranesi si sofferma a sottolineare l’importanza – forse risolutiva – dell’espressione «sorelle povere» consegnataci dall’analisi documentaria: il significato di tale sintagma rinvia a una dinamica relazionale aperta sostanzialmente diversa da quella cui rimandano i lessemi «monache rinchiuse» (cf. pp. 154-155). La rilevanza, poi, dell’aggettivo «povere» induce a considerazioni di carattere cristologico e sociologico: la poverta` e` modalita` peculiare dell’unione al mistero di Cristo e, differentemente dalla prospettiva claustrale, declina «la simmetria dell’amore» non la «priorita` assoluta dello sposo, oggetto atteso, onorato e amato dalla sposa mediante la sua riserva totale a lui» (p. 155). Sul piano sociale, invece, la poverta` si traduce nell’apertura alla condivisione della condizione dei poveri nel mondo, in contrapposizione a una clausura che non ha bisogno del mondo.
«Il processo di conciliazione tra clausura e vita minoritico-clariana – afferma quindi Maranesi – sara` il grande sforzo di Chiara e delle sorelle di San Damiano [...]. Il suo tentativo sara` proprio quello di dare un contenente monastico al suo contenuto clariano rendendo possibile un ossimoro socialmente forse insostenibile» (p. 156). Nel lasciar emergere questa tensione rimane comunque ancora da percorrere la questione su quale scelta avrebbe operato Chiara, dovendo optare tra clausura e poverta`. Una sfida, questa, che va raccolta in primis da quante vivono, oggi, il carisma clariano, per divenire sempre piu` capaci di profezia e di essere «memoria ‘‘penitenziale’’ di conversione da donare al mondo» (p. 157).
Tratto dalla Rivista "Il Santo. Rivista francescana di storia dottrina arte" LII, 2013, fasc. 1-2
(http://www.centrostudiantoniani.it)
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