Citazione spirituale

Tu sei qui: LibriShahbaz Bhatti

Shahbaz Bhatti

-

Laquila del Pakistan

 
di

Paolo Affatato, Emmanuel Parvez

 


Copertina di 'Shahbaz Bhatti'
Ingrandisci immagine

EAN 9788825045031

Disponibile dopo il 07/01 causa chiusura natalizia editori/fornitori
In promozione
Disponibile anche come Prezzo
E-book 11,20 €
Descrizione
Allegati: Introduzione
Tipo Libro Titolo Shahbaz Bhatti - Laquila del Pakistan Autori Editore Edizioni Messaggero EAN 9788825045031 Pagine 174 Data marzo 2020 Altezza 22 cm Larghezza 11,5 cm Collana Biografie
Per visualizzare l'indice clicca qui Nascondi

Paolo Affatato
Emmanuel Parvez




Shahbaz Bhatti
L'aquila del Pakistan
Prefazione del Cardinale Joseph Coutts
Postfazione del Cardinale Fernando Filoni
Prefazione



Ho conosciuto Clement Shahbaz Bhatti quando
aveva poco più di vent'anni. Mi colpì quel giovane
così serio e riflessivo, più degli altri giovani del-
la sua età. Aveva provato sulla sua pelle e aveva
visto con i suoi occhi le discriminazioni verso i
cristiani e le ingiustizie compiute sui poveri. Se
ne fece carico e divenne la voce dei senza voce e
un avvocato contro l'ingiustizia. Sorretto e mosso
da una solida fede, divenne attivista e promotore
dei diritti umani. Vedendone la sincerità e dedi-
zione, altri lo convinsero a impegnarsi in politica.
E non fu certo sorprendente vederlo ben presto
diventare ministro federale per gli affari delle mi-
noranze. Uomo di visione lungimirante, si impe-
gnò per l'abolizione delle leggi discriminatorie e
per la revisione della legge sulla blasfemia, spesso
palesemente abusata. Cominciò poi a ricevere mi-
nacce di morte da quanti gli si opponevano. Ma
egli rifiutò di cedere. «Conosco il significato della
croce», mi disse un giorno e aggiunse: «Non faccio
nulla di male. Perché dovrei fuggire all'estero'».
Shahbaz Bhatti ha vissuto con coerenza la fe-
de cristiana in tutti gli aspetti della vita e rappre-
senta un esempio per la testimonianza della fede
nella vita politica. Per noi cristiani in Pakistan,
Shahbaz Bhatti non è stato solo un ministro, ma
un uomo onesto e d'animo nobile che ha cercato
di creare buone relazioni tra musulmani e non
musulmani, per costruire una società caratteriz-
zata da uguaglianza e armonia tra le fedi. Nel cuo-

''5''
re e nella mente aveva, infatti, una visione molto
chiara: sognava un Pakistan permeato di pace e
armonia. Il suo sacrificio esprime il desiderio di
un'intera nazione: che i cittadini del Pakistan, di
ogni credo, etnia, classe sociale, possano godere
di pari diritti e dignità.
«Non rendete male per male né ingiuria per
ingiuria, ma rispondete augurando il bene» (1Pt
3,9), esorta l'apostolo Pietro. Queste parole ri-
mandano a quelle di Gesù: «Beati voi quando vi
insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo,
diranno ogni sorta di male contro di voi per causa
mia. ['] Così infatti perseguitarono i profeti che
furono prima di voi». (Mt 5,11-12). La mitezza
dei cristiani li rende simili a Cristo. La loro fedeltà
a Dio, a rischio della vita, mostra la verità dell'e-
sistenza umana: l'uomo è fatto per la comunione
con Dio e con i suoi simili. L'uomo può parteci-
pare dell'amore sconfinato del Signore Gesù, un
Dio disarmato che ha accettato la croce per sca-
raventare fuori dalla vita il principe delle tenebre.
Ha detto Papa Francesco: «Nella croce si legge
la risposta di Dio: lì, alla violenza non si è risposto
con violenza, alla morte non si è risposto con il
linguaggio della morte. Nel silenzio della croce tace
il fragore delle armi e parla il linguaggio della ri-
conciliazione, del perdono, del dialogo, della pace»
(Veglia di Preghiera per la pace, 7 settembre 2013).
Shahbaz Bhatti ci ha mostrato che è possibi-
le credere e decidere della propria vita a partire
dalla croce. Shahbaz ha vissuto per difendere i
cristiani, le minoranze e tutti gli emarginati e gli
oppressi del nostro paese. Dalla Sacra Scrittura
ha attinto la sensibilità e la compassione per i più
poveri. Non ha mai smesso di credere che fosse
possibile convivere pacificamente e ha promosso
con coraggio e generosità il dialogo interreligioso.
Nella sua vita e nella sua testimonianza risuonano

''6''
le parole dell'apostolo Pietro: «Se poi doveste sof-
frire per la giustizia, beati voi! Non sgomentatevi
per paura di loro e non turbatevi, ma adorate il
Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a
rispondere a chiunque vi domandi ragione della
speranza che è in voi» (1Pt 3,14-15).
Queste parole illuminano il significato della
sua esistenza che questo libro ricostruisce con at-
tenzione, accuratezza e fedeltà. Per noi cristiani, il
coraggio della speranza ha radice nella forza del-
la croce di Gesù. Shahbaz ha rivolto lo sguardo
al Signore crocifisso e, per sua grazia, ha vissuto
la stessa fede e l'amore tenace di Cristo. Sotto la
croce ha scelto la via, umile e coraggiosa, dell'in-
contro, del perdono e della pace.
Il 'martire' Shahbaz Bhatti non è morto, ma è
e rimarrà vivo in Cristo. Porteremo avanti la sua
missione. La sua voce, voce della verità, non sarà
mai ridotta al silenzio. Faremo memoria della sua
vita e del suo contributo alla storia del Pakistan.
Questo libro vuole essere anche questo: un memo-
riale e una fonte d'ispirazione per il presente e per
il futuro. L'opera di Shahbaz Bhatti non si ferma e
tanti uomini e donne di buona volontà sono dispo-
sti a continuarla in Pakistan. Ogni giorno la nostra
missione è essere testimoni di pace e di amore in
un paese ferito dalla violenza. Come cristiani, la
nostra missione è l'amore, come ha testimoniato,
con parole e opere, Shahbaz Bhatti. E l'amore di
Cristo fa sì che non perdiamo la speranza.

Cardinale Joseph Coutts
Arcivescovo metropolita di Karachi - Pakistan




''7''
Introduzione



La figura di Shahbaz Bhatti, il ministro catto-
lico per le minoranze religiose ucciso da mano
terrorista in Pakistan nel 2011, squaderna davan-
ti agli occhi degli uomini e delle donne del terzo
millennio un esempio sublime di quello che si-
gnifica la «vita in Cristo». La sua esperienza, vis-
suta nel contesto di una terra dove i cristiani co-
stituiscono solo il 2 per cento di una popolazione
al 90 per cento musulmana, acquista ancora più
forza e valenza paradigmatica. Tanto profonda è
stata la sua fede e tanto radicale la sua imitazione
di Cristo, da produrre cambiamenti nelle priorità
di scelta, nello stile di vita e di relazione con il
prossimo. Shahbaz Bhatti è stato un uomo che
non ha «sprecato» il talento della sua esistenza
ma l'ha vissuta in pienezza, in un cammino di
autentica umanizzazione e di costante conferma
della sua speciale vocazione e missione. La con-
ferma veniva proprio dalla vita vissuta secondo
gli occhi e lo sguardo di Cristo; nutrita dallo Spi-
rito Santo, donato da Cristo nei sacramenti; in se-
no alla chiesa, ma sempre immerso nelle strutture
secolari e temporali del mondo, come il lavoro,
la società, la relazione con il prossimo, il dialogo
interreligioso, la politica.
Shahbaz era un giovane con sogni straordinari
e una visione profetica, divenuto, in un tempo
molto breve, un leader di rango mondiale. Ha so-
gnato un mondo dove il lupo e l'agnello possono
mangiare insieme e bere dalla stessa fonte. È stato

''9''
un messaggero di pace e di armonia. Ha parlato
coraggiosamente contro la discriminazione e la
violenza. Ha vissuto ciò in cui credeva ed è morto
per i suoi sogni. È stato silenziato dalla mano di
malvagi.
Della sua morte violenta, inaspettata e pre-
matura si è parlato dovunque. Uomini e donne
in tutto il mondo, inclusi papa Benedetto XVI e
papa Francesco, sono rimasti toccati dalla vita di
Shahbaz Bhatti, dalle sue idee, dal suo testamento,
dal suo desiderio profondo di seguire Gesù come
fedele discepolo. Chi lo ha conosciuto e amato ha
pianto per il suo martirio, ma si è lasciato traspor-
tare con gioia dai ricordi raccolti in questo libro.
Il volume intende infatti dare un contributo alla
memoria di un uomo sublime con un racconto
analitico della sua umile vita. Fare memoria og-
gi significa far vivere l'eredità di Shahbaz Bhatti:
questo è un bene per il Pakistan.
Questo libro, nato dall'idea condivisa tra un
giornalista italiano appassionato di Asia e un
sacerdote pakistano, cugino di primo grado di
Shahbaz, cerca di restituire una parte importante
del mondo interiore, della spiritualità, del pensie-
ro e della personalità di Bhatti, e in questo aspetto
trova la sua originalità rispetto ad altre biografie
pubblicate sul personaggio. Punteggiato da una
miriade di racconti, dichiarazioni ed episodi ine-
diti che hanno costellato il breve cammino di vita
del ministro, il racconto ne ripercorre l'infanzia e
la stagione giovanile (capitolo I), la maturazione
dell'impegno socio-politico (capitolo II), l'instan-
cabile attività da ministro federale (capitolo III),
gli aspetti cruciali della testimonianza martiriale
(capitolo IV).
Bhatti è stato un «figlio del Pakistan» che si
pone agli occhi della comunità universale dei bat-
tezzati come un uomo che si è spinto al di là dei

''10''
CAPITOLO I

Un nome, una missione



Shahbaz significa «aquila». E, come un'aqui-
la, Shahbaz Bhatti, un cattolico del Pakistan, era
persona dalla vista acuta, un uomo dallo sguardo
lungimirante e dalla visione profetica. Aveva la
capacità di volare ad altezze irraggiungibili: già
dall'infanzia e dall'adolescenza se ne erano accorti
familiari, amici e insegnanti. Nella simbologia cri-
stiana, l'aquila è associata a san Giovanni evange-
lista che, come descritto nel libro dell'Apocalisse,
avrebbe contemplato la vera luce del Verbo, così
come l'aquila, secondo il mito tradizionalmente
ad essa associato, poteva fissare direttamente la
luce del sole. Clement Shahbaz Bhatti è stato un
uomo che ha contemplato Dio nell'agire quoti-
diano, nell'ordinarietà di una vita immersa nella
società pakistana e nelle sue strutture temporali,
ma sempre con il cuore radicato nella parola di
Dio e con lo sguardo rivolto al cielo.
Un uomo contemplattivo, per usare una defini-
zione cara al vescovo Tonino Bello1. Shahbaz, l'a-
quila, volava alto con la mente, con il cuore, con
lo spirito. Con la mente immaginava e lavorava
alacremente perché la sua nazione, il Pakistan,
fosse terra di pace, libertà, armonia, convivenza,
rispetto della dignità e dei diritti umani. Nel cuo-
re custodiva le persone più deboli e vulnerabili, i
1 T. Bello, Cirenei della gioia, San Paolo, Cinisello Bal-
samo (MI) 1995.

''13''
poveri e gli emarginati, gli oppressi e i diseredati.
Con il suo spirito, nutrito dalla grazia di Dio, li-
brandosi alto nel cielo e alimentando quei sogni
che possono diventare realtà, Shahbaz aveva ma-
turato una prospettiva della sua stessa esistenza
ma anche una visione del mondo e della storia
non comuni, permeate in toto dalla fede. Vede-
va la sua stessa vita come dono ricevuto da Dio,
un talento evangelico da far fruttificare. Vedeva il
suo tempo come un tempo fecondo, in cui poter
promuovere significativi cambiamenti per il bene
comune del paese. Vedeva la storia del Pakistan
come una storia segnata dalla provvidenza di Dio,
dall'epoca dell'arrivo del Vangelo nel subcontinen-
te indiano, a metà del XIX secolo, fino all'indipen-
denza, allo sviluppo e alla crescita della nazione.
Nel pensiero antico, in molte culture e civiltà,
il nome è un attributo mistico e potente. L'asso-
ciazione con un nome è segno di dignità e di una
missione personale. Per gli ebrei il nome espri-
meva l'essenza stessa della persona, la sua natura,
la sua forza, la sua attività. Nella Bibbia il nome
agisce come se avesse una forza propria: può stare
a sé come sinonimo della persona stessa. Il no-
me è parte essenziale di ogni persona e diventa
parte integrante della sua identità. Nel nome di
Clement Shahbaz Bhatti è riassunta tutta la storia
della sua vita. I suoi genitori Jacob e Marta gli
hanno dato quel nome e, nel corso della sua esi-
stenza, quel nome ha assunto un ben preciso si-
gnificato, ha preso forma, ha caratterizzato il suo
modo di sentire, pensare e agire.
Nel libro del profeta Isaia, Dio dice a Israe-
le: «Non temere perché io ti ho riscattato, ti ho
chiamato per nome: tu mi appartieni» (Is 43,1).
«Nella vita di Shahbaz Bhatti c'era profonda con-
sapevolezza di questa chiamata e della totale
appartenenza a Dio. Chiamando per nome, Dio

''14''
esprime il fatto che per lui ogni creatura è im-
portante e preziosa. Davanti a Dio si è unici, non
uno tra i tanti. Dio conosce i suoi figli uno ad uno
e a ciascuno promette qualcosa di bello, qualco-
sa di grande. Nel nome con cui Dio chiama ogni
persona risiede l'inconfondibile e inalienabile di-
gnità dell'essere umano. Riconoscendo il signifi-
cato letterale del nome, si scopre il mistero della
propria natura e bellezza e, allo stesso tempo, il
progetto di Dio per la propria esistenza. Così è
stato per Clement Shahbaz Bhatti»: con queste
parole si esprime don Emmanuel Parvez, sacer-
dote e parroco cattolico nella diocesi di Faisala-
bad, cugino di primo grado di Bhatti e nato nel
suo stesso villaggio, Khushpur. Con Shahbaz don
Parvez ha trascorso gli anni dell'infanzia, della
giovinezza e dell'età adulta, accompagnandolo e
confortandolo ' mentre l'uno era già un uomo
politico affermato, l'altro un sacerdote, docente e
parroco ' come un amico e confidente, in un fitto
dialogo di carattere umano e spirituale.
Era Clement Shahbaz Bhatti. Tutti lo chiama-
vano Shahbaz, nome che in lingua urdu, come in
persiano, indica l'aquila, il re dei volatili, creatura
nobile e maestosa. Quel nome, piuttosto diffuso
nell'Asia del Sud, piaceva molto al padre Jacob
che, già nei primi anni di vita del suo ultimo fi-
glio, ne intravedeva e ne intuiva la parabola esi-
stenziale e spirituale.
Ma il suo primo nome era Clement. Era na-
to il 9 settembre 1968 in una famiglia cattolica.
«Mio padre, insegnante in pensione, e mia ma-
dre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori
cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che han-
no influenzato la mia infanzia», racconterà egli
stesso2. Era l'ultimo di sei figli: Jaqueline, l'unica

2
S. Bhatti, Cristiani in Pakistan. Nelle prove la speranza,

''15''
donna; poi Paul, Peter, Gerard e Alexander, in-
fine Clement. Nella famiglia Bhatti si presta at-
tenzione e si dà importanza ai nomi biblici ma,
avendo Jacob Bhatti una innata predilezione per
il nome Shahbaz ' proprio per quel suo signifi-
cato di elevazione morale e spirituale ' il piccolo
ebbe il doppio nome. Clement, come raccontava
il suo primo nome, era persona benigna, gentile,
discreta, ricca di clemenza e misericordia. Era un
ragazzo dal carattere indulgente e generoso. Il suo
primo nome viene dal latino clemens, che vuol
dire clemente, mite, moderato, pietoso, gentile.
Non ci sono aggettivi più appropriati per descri-
vere la personalità di Clement Shahbaz Bhatti, co-
me confermano concordemente tutti coloro che
l'hanno conosciuto, frequentato, amato.
Ma non si tratta solo di indole. Rimarca don
Parvez: «Il nome rimanda al proprio santo patro-
no che è anche santo protettore: colui che può
indicare le possibilità, i doni, i carismi che sono
racchiusi nello scrigno che è dentro ogni perso-
na. Sono, in qualche modo, quelle caratteristiche
proprie che esprimono l'immagine riflessa di Dio,
presente in ogni uomo. Solo rifacendosi alla figu-
ra del santo di cui si porta il nome si può ricono-
scere e incontrare la propria immagine autentica,
quella verità di se stessi che nasce dalla mano cre-
atrice di Dio. Nei santi è evidente l'azione di Dio
sugli esseri umani. Essi sono come un prisma che
riflette la vita stessa di Dio e sono una sua epifa-
nia: manifestazione di come la sua grazia trasfor-
mi gli esseri umani, conformandoli a Dio stesso,
a sua immagine e somiglianza. Inoltre il santo di
cui si porta il nome è un compagno lungo tutta
l'esistenza. È come un angelo che protegge, che
indica la strada, che ispira i passi verso il bene,
Marcianum Press, Venezia 2008.

''16''
che accompagna e conduce verso la santità». E
così la vita di Clement Bhatti in Pakistan è indis-
solubilmente legata a quella di san Clemente I,
papa e martire, che governò la chiesa di Roma '
dopo san Pietro, Lino e Anacleto ' per nove anni,
sotto gli imperatori Domiziano, Nerva e Traiano.
Clemente scrisse ai Corinzi una celebre lettera per
rinsaldare tra loro la pace e la concordia, per cui
è celebrato come uno dei padri apostolici. Poco
si sa dei suoi ultimi anni. Secondo una tradizione
del IV secolo, sarebbe stato affogato con un'an-
cora al collo in Crimea, suo luogo d'esilio, per
ordine di Nerva. Sebbene non si abbia la certezza
storica, san Clemente è onorato come martire3 e
il suo nome ricorre nel martirologio romano. La
storia e l'esperienza di san Clemente erano ben
presenti ai genitori di Shahbaz, che frequenta-
vano le biografie dei santi. Avere il nome di un
martire rappresenta, allora, un segno e una pre-
monizione per la vita di Clement Shahbaz Bhatti
dall'umile villaggio di Khushpur: un uomo che
ha portato avanti la propria missione fino in fondo,
senza cercare ma nemmeno temere il martirio.
Anche Bhatti, il nome di famiglia, ha un signi-
ficato ben determinato che racconta una realtà e
una storia. Nel caso dei cristiani pakistani, è iden-
tificativo di un clan che ne connota le origini e

3
Documenti del IV secolo raccontano come, duran-
te l'impero di Traiano (98-117), Clemente fu condannato
all'esilio in Crimea e ai lavori forzati nelle miniere. Lì la sua
attività missionaria tra i soldati e i compagni di prigionia in-
contrò tale successo che i romani lo legarono a un'ancora e
lo gettarono nel Mar Nero. Qualche tempo dopo, racconta-
no le cronache, le acque si ritrassero, rivelando una tomba
costruita dagli angeli, che avevano ricuperato il corpo del
santo e gli avevano dato sepoltura. La tomba del martire fu
condotta a Roma, dove fu eretta in suo onore la nota Basi-
lica di san Clemente.

''17''
anche la fede. Quando in Pakistan si nomina un
Bhatti, lo si riporta subito e con riconoscibile evi-
denza alle sue origini di membro della comunità
cristiana. Anche il cognome, dunque, mostra de
facto la precisa appartenenza alla comunità dei fe-
deli cristiani: diventa esso stesso un marchio che
dice l'appartenenza a Cristo, quella che Clement
avvertiva fin nel profondo della sua anima.
L'origine della famiglia Bhatti nel subcontinen-
te indiano, soprattutto nelle regioni del Punjab
e del Rajastan, è legata etimologicamente al san-
scrito bha'tta, cioè «signore». La tribù dei Bhatti
è, fin dal XII secolo, tra le più ampie e diffuse nel
complesso delle popolazioni del Punjab indiano
(ben prima che la regione fosse irrimediabilmente
divisa dalla frontiera tra India e Pakistan, stabili-
ta solo con la partition del 1947). Quel nome è
espressione di fedeltà, forza, fierezza, tutte carat-
teristiche associate culturalmente e tradizional-
mente ai membri della tribù. Caratteristiche che
si ritrovano tutt'ora, come patrimonio ancestrale
e segno indelebile, nella tempra, nella mentalità e
nell'identità più profonda di un Bhatti.
D'altro canto in urdu, la lingua nazionale pa-
kistana, bhatti assume un altro significato e indica
la fornace o, per traslazione, l'operaio che lavo-
ra in una fornace dove si producono mattoni di
argilla. Questa indicazione linguistica si incrocia
perfettamente con la vita dei cristiani in Pakistan:
è noto, specialmente nella regione del Punjab,
il fenomeno di masse di indigenti tenuti a lavo-
rare, in condizioni di schiavitù, nelle fabbriche
che estraggono argilla dal sottosuolo, impastano
mattoni e li cuociono nelle fornaci, a beneficio
dell'industria edilizia4. Famiglie intere si ritrova-

4
L'industria dei mattoni è fiorente in Pakistan e rappre-
senta circa il 3 per cento del Pil nazionale. Secondo stime

''18''
no, spesso per la necessità di saldare un debito
contratto, in una condizione di autentica schia-
vitù legalizzata, al soldo di proprietari terrieri e
signorotti di stampo feudale che gestiscono la
forza-lavoro con criteri di massimo sfruttamento
e costringono gli operai ' inclusi bambini, don-
ne e anziani ' a condizioni subumane. I cristiani
del Punjab, spesso appartenenti alle fasce più po-
vere della popolazione e relegati agli ultimi posti
dell'antico sistema castale, tipico della stratifica-
zione sociale del subcontinente, finiscono per es-
sere le vittime privilegiate di un meccanismo che
spesso li tiene anche segregati. Il pesante debito
da saldare, infatti, impone a tutti i membri della
famiglia, senza alcuna distinzione di età, sesso o
condizioni di salute, turni massacranti di lavoro
per un salario da fame. È una condizione ben lon-
tana da ogni diritto elementare, mentre le persone
sono considerate alla stregua di merce o in modo
puramente strumentale, prive di qualsiasi dignità.
È una duplice discriminazione quella che
colpisce le minoranze religiose ' cristiane e indù '
e le fasce più povere della popolazione pakistana.
Sono gli «schiavi per debito». Il meccanismo che
li condanna ad abusi, vessazioni, maltrattamenti,
a un'intera esistenza sottomessa a padroni senza
scrupoli è inesorabile. Si inizia con un prestito da
parte dei datori di lavoro. Per restituire la somma
dovuta sono necessari anni passati senza diritti,
senza certezze, senza paga, o costretti in abitazio-
ni fatiscenti. In molti casi, il lavoratore non riesce
a ripagare il debito contratto, che non si estingue

dell'Organizzazione internazionale del lavoro, sull'intero
territorio nazionale sono disseminate tra le ottomila e le
diecimila fornaci e i lavoratori del settore sono circa 1,5
milioni. Nella sola provincia del Punjab sono attive cinque-
mila fornaci, note come il «regno del lavoro forzato», un
sistema regolato da una legge ferrea e inflessibile.

''19''
con la sua morte ma si riversa sulle successive ge-
nerazioni, creando generazioni di schiavi5.
In un caso paradigmatico assurto alle crona-
che internazionali, quel bhatti, quella fornace è
diventata tragicamente un forno crematorio: è la
nota vicenda di Shama e Shahzad Masih, due co-
niugi (lei cattolica, lui cristiano protestante) che
lavoravano in una fabbrica di mattoni in Punjab.
I due sono stati brutalmente torturati e bruciati
vivi in una fornace nella località di Kot Radha Ki-
shan il 4 novembre 2014. Erano stati falsamente
accusati di aver commesso un reato di blasfemia
e una folla di militanti ha compiuto il terribile
linciaggio. La vicenda ha nuovamente gettato un
cono di luce sulla condizione di migliaia di di-
seredati, di oppressi, di persone ridotte a vivere
in condizioni disumane nel sistema schiavistico
della produzione di mattoni. Tra costoro, un nu-
mero consistente è costituito da famiglie cristia-
ne, condannate a una vita segnata da indigenza,
sfruttamento e miseria.
C'è tutto questo nel nome Bhatti: un carico di
immane sofferenza, la dignità umana calpestata di
milioni di persone, la prova e il faticoso cammino
di redenzione di generazioni di oppressi. Il no-
me di famiglia ha sempre costituito per Clement
Shahbaz un potente monito che ha determinato e
5
Il sistema si perpetua anche con la pratica del peshgi,
ovvero un anticipo del salario che l'operaio riceve dal dato-
re di lavoro. Ma il debito si accumula creando un sistema di
schiavitù accettata e legalizzata. Il Pakistan si trova al sesto
posto nell'indice stilato da Global Slavery, che ha censito nel
paese 2,3 milioni di schiavi, l'1,13 per cento dell'intera po-
polazione pachistana. In Italia una campagna di intervento
solidale è stata lanciata da organismi come Focsiv, Iscos e
dal quotidiano cattolico «Avvenire», come si legge al link:
https://www.avvenire.it/mondo/Pagine/documenti-e-scuo-
la-mille-famiglie-ripartono-in-pakistan.

''20''
orientato la sua vocazione e missione: mai più un
solo uomo senza dignità, mai più diritti calpesta-
ti impunemente, mai più ingiustizia, emargina-
zione e discriminazione. In quei poveri schiavi,
Clement Shahbaz riconosceva la condizione di
umiliazione, segregazione e vessazione del Cristo
torturato e crocifisso. In ognuno dei loro volti,
sfregiati dal dolore e rigati dal pianto, rileggeva
il profeta Isaia e il suo quarto canto del Servo di
Jahvè, dedicato all'uomo dei dolori, al servo sof-
ferente, all'uomo privato di bellezza, splendore,
dignità. E allora metteva tutto se stesso, il suo im-
pegno e le sue possibilità, perfino le sue risorse
economiche personali, per contribuire alla loro
salvezza e liberazione.
Memore del dono e dell'impegno di Shahbaz,
quella stessa missione oggi continua a svolgerla
don Emmanuel Parvez che, nell'area di Faisalabad,
riscatta dalla schiavitù le famiglie di contadini cri-
stiani saldando i loro debiti, trovando per loro un
terreno da coltivare, costruendo una casa, ripor-
tando i loro bambini a scuola, restituendo loro la
dignità di cittadini liberi, di figli amati da Dio6.


Khushpur, il «Vaticano del Pakistan»
La distesa di campi di riso, canna da zucchero,
cotone, tabacco si perde a vista d'occhio. Carretti
trainati da muli o cavalli viaggiano su strade ster-
rate e sentieri di campagna, portando le sementi
e i prodotti agricoli verso i mercati dei centri ur-
bani. L'agricoltura è la principale fonte di sosten-
tamento nelle immense pianure del Punjab paki-
6
Si veda l'articolo Un uomo fatto Vangelo, pubblicato su
«L'Osservatore Romano» del 13 luglio 2019, in parte leg-
gibile al link: http://www.osservatoreromano.va/it/news/
un-uomo-fatto-vangelo.

''21''
stano, la «terra dei cinque fiumi» dove le risorse
idriche non mancano e le colture sono dunque
abbondanti e rigogliose7.
Fin dal 1870, al tempo del governo coloniale
britannico, le autorità civili del Punjab (che inclu-
deva la provincia poi suddivisa negli stati moder-
ni di Pakistan e India) decise di aumentare la terra
coltivata costruendo dighe, sbarramenti e canali,
così da soddisfare la domanda di prodotti agricoli
dei mercati europei. Un vasto sistema di irriga-
zione canalizzata fu realizzato nelle aree che oggi
comprendono i distretti di Faisalabad e Toba Tek
Singh. Nel 1880, in quest'area venne fondata una
nuova città, che prese il nome di Lyallpur, la cui
pianta urbana era basata sulla Union Jack, la ban-
diera inglese, con otto strade che si irradiavano
da una grande torre dell'orologio, posta al centro
della città. A partire dal 1904, Lyallpur divenne
un distretto del Punjab orientale, che includeva
le amministrazioni locali di Lyallpur, Samundri
e Toba Tek Singh, dove migrarono popolazioni
musulmane e sikh. L'insediamento di popola-
zione nel distretto, che manteneva un carattere

7
La provincia del Punjab pakistano copre 205.345 km2
e ospita più di 110 milioni di abitanti, oltre la metà del
totale della popolazione del Pakistan (205 milioni, secon-
do stime del 2018). È suddivisa amministrativamente nei
quattro distretti di Rawalpindi, Sargodha, Lahore e Multan,
che hanno come capoluoghi le città omonime. È una regio-
ne essenzialmente agricola, grazie all'irrigazione garantita
dalle acque dei suoi cinque fiumi (l'Indo e i suoi affluenti
Jhelum, Beas, Chenab, Ravi e Sutlei). Punjab deriva infatti
dal persiano pang (cinque) e ab (fiume). Nel territorio si
producono frumento, canna da zucchero, cotone, tabac-
co e si coltivano alberi da frutta. L'industria si è sviluppata
prevalentemente nei rami legati all'agricoltura (fertilizzanti,
macchine agricole, impianti tessili, zuccherifici). In Punjab
si trova anche l'enclave federale costituita dalla capitale del
Pakistan, Islamabad.

''22''
sociale ed economico essenzialmente agricolo,
cresceva velocemente, e già nel 1916 il mercato
del grano di Lyallpur si imponeva come uno dei
più importanti della regione. A partire dagli anni
Trenta si svilupparono l'industria tessile e quella
della trasformazione dei prodotti alimentari. Nel
1977, il nome della città e del distretto fu cambia-
to in Faisalabad8 («città di Faisal»), in onore del
defunto re Faysal dell'Arabia Saudita, personag-
gio tenuto in grande considerazione in Pakistan9.
In questa distesa di campi che si perdono a
vista d'occhio, a 40 chilometri dal capoluogo
Faisalabad, sorge Khushpur, il villaggio natio di
Shahbaz Bhatti. Il suo nome significa «terra del-
la felicità» (in urdu khush, felicità; pur, terra), e
non esisterebbe appellativo più appropriato per
descrivere la vita serena, laboriosa e pacifica della
gente del luogo10. Il villaggio ha una connotazio-

8
Faisalabad, con i suoi 3,2 milioni di abitanti, è oggi,
secondo il censimento del 2017, la terza città più popolosa
in Pakistan (dopo Karachi e Lahore). È un fiorente centro
economico e commerciale e contribuisce per il 5 per cento
al Pil annuale del Pakistan.
9
¯ '
Faysal ibn 'Abd al-'Az'z Al Sa'ud, (Riyad, 14 aprile
'
1906 - Riyad, 25 marzo 1975), è stato re dell'Arabia Saudita
dal 1964 al 1975. Da sovrano, cercò di attuare una politica
di modernizzazione e di riforma. Tra i temi principali di
politica estera vi erano il panislamismo, l'anticomunismo e
il nazionalismo palestinese. Negli anni di governo, contri-
buì a rafforzare l'alleanza politica e strategica tra Pakistan
e Arabia Saudita, anche finanziando la ricerca per dotare
il Pakistan delle armi nucleari. È tutt'ora una personalità
rispettata e amata in Pakistan: a re Faysal, che ha sostenuto
e finanziato il progetto, è dedicata la imponente moschea
Faysal a Islamabad, la più grande moschea del Pakistan e
dell'Asia meridionale, una delle più grandi al mondo.
10
Khushpur è un villaggio che sorge nel subdistretto di
Samundri, all'interno del più ampio distretto di Faisalabad.
L'amministrazione britannica lo identificava come «Chak
51». Chak è un termine in lingua punjabi che indica un

''23''
ne unica e speciale: è quasi del tutto composto da
popolazione di fede cattolica. È una vera rarità in
una nazione come il Pakistan, dove la popolazio-
ne di fede musulmana costituisce circa il 96 per
cento dei 205 milioni di abitanti e i cristiani sono,
nel complesso, circa 4 milioni, sfiorando il 2 per
cento della popolazione. La religione cristiana è,
allora, il marchio di fabbrica di questo piccolo in-
sediamento agricolo di circa cinquemila abitanti,
composto perlopiù da semplici case di mattoni a
un solo piano, collegate da strade sterrate.
Le cosiddette «colonie» ' cioè villaggi, insedia-
menti o quartieri interamente cristiani ' furono
avviate dai missionari cappuccini belgi che, alla
fine del 1800, portarono il Vangelo in quest'area
del subcontinente indiano. I primi battezzati, al-
lora, avevano bisogno di sviluppare un senso di
solidarietà reciproca e di rafforzare la loro iden-
tità cristiana, restando uniti mentre vivevano da
minoranze in una società a schiacciante maggio-
ranza musulmana. Così i missionari iniziarono
ad acquistare terreni e a convogliarvi le famiglie
evangelizzate, con l'intento di tutelare e rafforzare
la loro fede, permettendo loro di fare una fecon-
da esperienza di vita comunitaria e di solidarietà
apostolica11. Ancora oggi in Pakistan, oltre cento

insediamento di popolazione stanziata in uno spazio conti-
guo di territorio. L'ordinamento e il sistema dei chak serviva
essenzialmente per la riscossione delle tasse dell'era del Raj
britannico.
11
Esistono in Pakistan 34 villaggi che hanno questa ori-
gine: insediamenti curati e realizzati dai missionari, per gli
«intoccabili» che si erano convertiti alla fede cristiana. Per
una valida panoramica sull'origine del cristianesimo in ter-
ra pakistana si veda l'articolo Le origini del Pakistan e il ruolo
che hanno avuto i cristiani e le altre minoranze, pubblicato dal
vescovo Anthony Lobo sulla rivista «Oasis» nel 2005, con-
sultabile al link: https://www.oasiscenter.eu/it/origine-cri-
stiani-pakistan.

''24''

Questo prodotto è disponibile anche in digitale nei seguenti formati: PDF (EAN 9788825045048, Watermark DRM), ePub (EAN 9788825045055, Watermark DRM)

Visualizza i dettagli o acquista l'e-book

Non ci sono commenti per questo volume.