Una raccolta di tutte le lettere che Albino Luciani, patriarca di Venezia, scrisse indirizzandole a personaggi storici e mitici di tutti i tempi e luoghi. Penelope, Mark Twain, Maria Teresa d'Austria, Charles Dickens, Pinocchio, Goethe e Gesù sono solo alcuni dei destinatari di queste lettere, scritte negli anni '70.
INTRODUZIONE
NOTA DELL'EDITORE
La prima edizione di Illustrissimi esce nel gennaio 1976 pubblicata dalle Edizioni Messaggero Padova, e raccoglie i quaranta articoli scritti dal patriarca Albino Luciani sotto la formi di un epistolario immaginario che erano usciti sul mensile «Messaggero di sant'Antonio» dal maggio 1971 al dicembre 1974. Nel libro i testi sono presentati in ordine cronologico, a parte li lettera a Dickens (dove l'autore si presenta) e quella a Gesù, che chiude idealmente il singolare epistolario.
La quarta edizione, stampata nell'ottobre 1978, era stata rivista personalmente, alcuni giorni prima della morte, dall'autore ormai divenuto papa Giovanni Paolo I, che vi aveva apportato alcune correzioni.
Vasta la fortuna editoriale del libro. Nel 1978 apparvero diverse traduzioni.- in inglese negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e Commonwealth britannico, in Canada e Filippine, oltre che in francese, tedesco, spagnolo, catalano, olandese. È stata poi pubblicata nel 1979 una versione in portoghese, nel 1980 in slovacco; nel 1981 edizioni in cinese e ungherese; nel 1982 in polacco, maltese e indonesiano; nel 1988 in sloveno; nel 1989 in giapponese; nel 1997 in croato. Inoltre nel 1979 è stata pubblicata un'edizione scolastica in italiano, nel 1980 una riproduzione in braille e nel 1983 è stata realizzata negli Stati Uniti una registrazione meccanica per italiani non vedenti.
Fu padre Francesco Saverio Pancheri, direttore del mensile, a proporre al patriarca di Venezia una collaborazione giornalistica, assunta con evidente intento pastorale da Luciani, che commentò: «Quando parlo in San Marco mi ascoltano quattrocento o cinquecento persone; quando scrivo sul "Gazzettino', mi potranno leggere cinquantamila persone, e invece se pubblico sul "Messaggero di sant'Antonio" converso con un milione e mezzo di lettori».
Un precedente di questo genere epistolare immaginario si può rintracciare nelle tre Lettere a Penelope, scritte da Albino Lu-ciani nel 1968, quando era vescovo di Vittorio Veneto, e che vennero pubblicate sul settimanale diocesano «L'Azione» (21 aprile, 28 aprile, 5 maggio).
Ora il libro viene riedito integralmente, in una veste del tutto rinnovata, con la prefazione di Igino Giordani alla prima edizione del 1976, e con l'aggiunta di una cronologia e di una postfazione di Giovanni Maria Vian, direttore de «L'Osservatore Romano». Occasione per questa nuova edizione è il primo centenario della nascita (17 ottobre 1912) di Albino Luciani.
PRESENTAZIONE
di Igino Giordani
Scrivendo a Charles Dickens, in una delle sue lettere popolari e cristiane pubblicate sul periodico cristiano e popolare, il «Messaggero di santAntonio», e ora qui raccolte, scrivendo dunque al Dickens, così come ha scritto a Marconi, a Péguy, a san Bernardino da Siena, a Penelope e a Pinocchio, e a tanti altri personaggi storici e mitici di tutti i tempi e luoghi, l'autore così si presenta:
«Caro Dickens, sono un vescovo, che ha preso lo strano impegno di scrivere ogni mese... una lettera a qualche illustre personaggio».
Questo vescovo è il cardinale Albino Luciani, patriarca di Venezia.
Trattandosi d'un patriarca, uno s'aspetterebbe delle lettere quasi encicliche, con filosofiche dissertazioni sul governo dei popoli, con ponderate indagini sulla teologia pastorale e pensosi avvertimenti circa i problemi del patriarcato, ecc. ecc.; e invece s'imbatte in una prosa giornalistica e agile, incredibilmente spiritosa (oltre che spirituale), di incorreggibile carattere popolare, dove l'autore senza pose esamina i problemi della vita d'oggi, in tutto il mondo, interessanti tutte le categorie di creature umane, avvalendosi di una partecipazione diretta e di un'esperienza non comune ed esprimendosi con una semplicità discorsiva, in cui saltano in rilievo gli aspetti meno vistosi di personaggi altolocati e di massaie e operai, di studenti e di vecchi... Egli esamina, alla buona, anime e corpi, divino e umano, senza prevenzioni, con tolleranza patriarcale, avvivando di continuo l'argomento con arguzie impreviste, aneddoti graziosi, lepidezze di un humour di tipo inglese, facilitato dalla vasta cognizione della letteratura britannica, insieme con una diretta conoscenza dell'animo popolare. Sì che ogni tanto il lettore scoppia a ridere e trae dalla gioia l'impulso a leggere oltre, approfondendo con l'autore, senza sforzi cerebrali, i temi in questione, e soprattutto convincendosi dei motivi e degli esempi portati per liberare gli spiriti dalla noia, dalla stupidità del male, materia di suicidio.
Per i temi trattati e per i modi usati, il lettore libero percepisce l'attualità del cristianesimo, senza cui la società di oggi si sfascia se Dio non la sorregge.
Oggi per le teorie, morte o moribonde, della morte di Dio e della depennazione del demonio (per il quale il Luciani pensa con Baudelaire che «la più riuscita beffa del diavolo sia questa: far credere agli uomini che egli non esista»); dopo dunque la liquidazione giornalistica dei dogmi di giornata, anche il vocabolo «apologetica» è accantonato. Ma, in questo epistolario vivo, sorretto da una cultura sbalorditiva e moderna, rinasce un'apologetica potente, se pur bonaria, senza sottintesi e senza ampollose citazioni culturali, ricca di episodi della vicenda quotidiana, un'apologetica dove avviene una discriminazione logica di vita e di morte, di pena e di male, per i casi del tempo nostro. Avviene, nel lume della sapienza eterna, una difesa della persona e della società, che tanti organi disgraziati e tanti cervelli scriteriati smaniano di sterminare.
In tal modo il cardinale scende dal soglio e penetra nella massa, partecipando alla vita comune; e così, mentre realizza la vocazione del concilio Vaticano II, rivive, senza orpelli, il contegno di Gesù stesso, il quale, malgrado l'invito di Pietro a fermarsi alle altitudini mirifiche del Tabor in contemplazione statica ed estatica, ridiscese subito tra le folle, per istruirle sulla scienza del vivere e per curarle dei mali fisici e morali. E lo fece per quel puro amore che risulta il fondamento di questa nuova presentazione della «buona novella».
Per siffatto amore ogni interesse personale e sociale è fatto suo dallo scrittore, sempre comprensivo e critico, aggiornato e istruito, che scopre nelle crisi varie della giornata le misteriose istanze della fede in Dio con la bellezza della sua realtà. Così facendo, il patriarca semina germi di spiritualità sui piani del materialismo, sgonfia le ideologie tumefatte in vari ambienti sociologici, politici, dogmatici.
È un magistero nuovo, attraente e suadente fatto per tutti, dotti e indotti, vicini e lontani; così come per tutti son fatte l'aria, l'acqua, la terra, insieme col cielo e con la religione.
L'autore delle missive si dimostra sempre libero (della libertà dal male, si capisce) e sempre comprensivo e paziente. «Avete lanciato una crociata — scrive a san Bernardo di Chiaravalle —, cosa molto discussa oggi, ma allora entrava nel quadro delle cose».
Si rivolge all'uomo comune, di cui vede un esemplare in se medesimo; e come ammette le proprie limitazioni, così parla chiaro e dice la verità, senza mai un'ombra di offesa, sì da indurre anche i più restii a ragionare per il proprio bene. Nel dialogo non sono mai visti dei nemici, ma sempre fratelli, i quali hanno diritto d'essere informati e spesso illuminati.
L'insegnamento, ripeto, vale per tutti, professionisti e operai, buoni e cattivi, clero e laici, patriarchi e padri di famiglia. L'autore è il primo a trarne profitto per sé e per i suoi compiti; ché infine insegna a ben vivere e a ben morire. Una particolare attualità egli pare sentire negli uomini politici, negli amministratori regionali e comunali, in negozianti e operai, in studenti e ragazze da marito... tutti insomma. Sempre qui si culmina, ché si è tutti legati dalla comune paternità.
L'insegnamento così serve a educare il popolo, di cui esplora mode e modi di convivenza, associando alla sociologia la polemica scherzosa, ma penetrante, con i fratelli, fattisi, per un abuso della libertà, primo dono di Dio, avversari del Dio in cielo e degli uomini in terra. Convoglia divino e umano, secondo la didattica conciliare, e separa perciò, di continuo, dall'esistenza gli elementi mortiferi: e si fa comprendere anche dai cosiddetti atei più distratti.
Per questo tocca gli argomenti più diversi: dalla fede all'educazione, dalla santità alla cultura, dal sesso al matrimonio, dal turismo all'ascesi...; unendo, sempre che giovi, alla diagnosi la terapia. Segue la tradizione di grandi plasmatori di anime: un Filippo Neri, un Bernardino da Siena, un Francesco di Sales, un papa Giovanni... E parla sempre limpido, conciso, rivelandoci l'attualità d'un vescovo, che non si barrica dal mondo, ma ci vive dentro per aiutare le masse nella fatica così complessa di salire la scalata dell'esistere. Per questo traduce il suo ottimismo, fermamente ancorato al Cristo, in una ilarità originale, fresca, tripudiante, che tanto più vale quanto più siamo oberati da una cultura nebulosa, tanto spocchiosa quanto vanitosa.
Il cardinale Luciani risulta così un nemico della noia: un amico della gioia. La sua è una cultura ispirata dal Vangelo, dalla chiesa, di cui applica l'universalità dei doveri del cristiano: una universalità che lo induce ad aprirsi a tutto il mondo razionale, dentro e fuori del cristianesimo, a mo' di san Giustino martire, per cui accoglie e utilizza anche massime e persone d'altri sistemi.
Niente di ciò che è umano egli considera alieno da sé: posizione decisiva per arrivare all'unità umana, frutto della politica dell'amore.
E insegnando questo patrimonio di Cristo — il testamento dell'amore — Luciani addita un amore «pratico», fatto di fede e di opere, attraverso una carità spicciola, nell'impiego dell'interminabile perdono verso qualunque tipo di violenza ed errore.
In altri casi, sarei stato imbarazzato a lodare senza riserve uno scrittore, sia pur di epistole lanciate a tutto il mondo, di tutti i tempi. Ma col patriarca di Venezia non è il caso, perché proprio lui, in questi suoi scritti, fa una spassosa e convincente liquidazione degli elogi, che circolano per le strade (e le case) di notte e di giorno.
Questo non mi impedisce di confessare che da anni non m'era capitato tra mani un volume così attraente e vivo e utile a me, come, credo, a ciascuno.
Roma, 10 gennaio 1976
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
SIAMO AGLI SGOCCIOLI...
A CHARLES DICIKENS*
Caro Dickens,
sono un vescovo, che ha preso lo strano impegno di scrivere ogni mese per il «Messaggero di sant'Antonio» una lettera a qualche illustre personaggio.
A corto di tempo, sotto Natale, non sapevo proprio chi scegliere. Quand'ecco, trovo su un giornale la réclame dei vostri cinque famosi Libri natalizi. Mi sono subito detto: li ho letti da ragazzo, mi sono immensamente piaciuti perché tutti pervasi da un senso di amore ai poveri e di rigenerazione sociale, tutti caldi di fantasia e umanità; scriverò a lui. E son qui a disturbarvi.
Ho ricordato dianzi il vostro amore ai poveri. L'avete sentito ed espresso magnificamente, perché tra i poveri eravate vissuto bambino. A dieci anni, col papà in prigione per debiti, al fine di aiutare la mamma e i fratellini, andaste a lavorare in una fabbrica di vernici. Dalla mattina alla sera le vostre piccole mani imballavano scatole di lucido da scarpe sotto gli occhi di un padrone impietoso; la notte dormivate in una soffitta; la domenica, per far compagnia al padre, la trascorrevate con tutta la famiglia in prigione, dove i vostri occhi di fanciullo s'aprivano sbalorditi, commossi e attentissimi, su decine e decine di casi pietosi.
Per questo tutti i vostri romanzi sono popolati da povera gente, che vive in una miseria impressionante: donne e bambini arruolati in fabbrica o in bottega indiscriminatamente anche sotto i sei anni; nessun sindacato che li difenda; nessuna protezione contro malattie e infortuni; salari da fame; lavoro prolungato fino a quindici ore giornaliere, che, con desolante monotonia, lega fragilissime creature alla macchina potente e fragorosa, all'ambiente fisicamente e moralmente malsano e spesso spinge a cercare oblio nell'alcool o a tentare un'evasione mediante la prostituzione.
Sono gli oppressi: su di essi si riversa tutta la vostra simpatia. Di fronte, stanno gli oppressori, che voi stigmatizzate con penna maneggiata dal genio della collera e dell'ironia capace di scolpire quasi su bronzo figure da maschera.
Una di queste figure è l'usuraio Scrooge, protagonista del vostro Canto di Natale in prosa.
Due signori — capitati nel suo studio, notes e penna alla mano — lo interpellano: «È Natale, migliaia di persone mancano del necessario, signore!». Risposta di Scrooge: «E non ci sono le prigioni? E gli ospizi di mendicità non funzionano ancora?». «Ci sono, funzionano, ma ben poco possono fare per rallegrare spiriti e corpi in occasione del Natale. Abbiamo pensato di raccogliere fondi per offrire ai poveri cibi, bevande e combustibili. Per che cifra posso iscrivervi?». «Per nessuna. Desidero essere lasciato in pace. Io non festeggio il Natale e non mi permetto il lusso di farlo festeggiare a dei fannulloni. Pagando la tassa sui poveri, do il mio aiuto alle carceri, agli istituti di mendicità; chi è nella miseria può rivolgersi là». «Molti non possono andarci, e molti preferirebbero piuttosto morire». «Se preferiscono morire, meglio lo facciano in fretta per diminuire la sovrabbondanza della popolazione. E poi, scusatemi, queste cose non mi riguardano».
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Avv. Francesco Ferone il 4 luglio 2015 alle 10:26 ha scritto:
Uno dei più bei libri che abbia mai letto. E' davvero straordinaria l'abilità di Papa Luciani di esprimere con uno stile semplice concetti molto alti. Un libro ricco di spunti per la riflessione personale.
Francesco Andolfatto il 17 ottobre 2017 alle 14:56 ha scritto:
Una grande raccolta di lettere indirizzate a personaggi illustri, veri e fittizi in cui l'autore tratta svariati argomenti. La struttura stessa dell'opera permette una lettura a piccoli sorsi, quasi a godere del linguaggio vivo e pimpante e della profondità delle riflessioni. Cosigliato vivamente a tutti, con un occhio particolare a catechisti, sacerdoti e a coloro che cercano spunti originali ed esempi efficaci per la trasmissione della fede a fanciulli, ragazzi ed adulti.