Non è saggio - assicura il Qoelet - sostenere che "i tempi antichi erano migliori del presente" (Qo 7,10), tuttavia, di fronte al disorientamento esistenziale di una società in cui i valori che contano non sono quelli religiosi, ma il denaro, il successo, il piacere ad ogni costo, è percepito da molti il bisogno di respirare un'aria più spirituale.
A questa ricerca di interiorità la chiesa risponde offrendo ai suoi fedeli, nel ciclo liturgico annuale, molte feste della Vergine Maria e dei santi. Il concilio Vaticano II ne ha conservate alcune - quelle più amate dal popolo cristiano - e le ha arricchite con appropriati testi biblici. In questo volume sono spiegate alla comunità le letture di queste festività e del Triduo Pasquale.
PREFAZIONE
Per mantenere vivo il ricordo delle opere di Dio
L'esilio babilonese fu un evento traumatico per Israele, scosse le stesse fondamenta della sua fede.
Una sera, lungo i fiumi di Babilonia (Sal 137,1), alcuni deportati si recano dal profeta Ezechiele, anch'egli esule in terra straniera, per sottoporgli il loro angosciante quesito. Si siedono dinanzi a lui (Ez 14,1) e, dopo un lungo, mesto silenzio, gli dicono: la città santa è rasa al suolo, la terra ci è stata tolta e il tempio, delizia dei nostri occhi (Ez 24,15), è stato demolito. Lungi dal monte Sion, dalla sacra dimora che Dio si è scelto per abitare in mezzo a noi, dove potremo ancora incontrare e pregare il Signore? E come rendergli culto se non abbiamo più l'altare su cui offrire olocausti? Non Ezechiele, ma l'esilio rispose a questi interrogativi.
Il confronto con una cultura, una religione e una società diverse indusse i deportati a rivedere le loro convinzioni religiose e l'immagine che si erano fatti di Dio. Fece maturare la loro fede. Per molto tempo Israele aveva condiviso con gli altri popoli la convinzione che la divinità risiedesse in luoghi particolari — su monti, sotto alberi frondosi, presso grotte e sorgenti — e che fosse necessario metterle a disposizione una casa. Quando i re conquistavano una nuova terra, profanavano i templi degli dèi nemici ed erigevano un santuario al loro Dio.
A Babilonia questa concezione religiosa entrò in crisi. Gli esiliati si resero conto che il Signore dell'universo non è racchiuso in uno spazio sacro: «Dice il Signore: il cielo è il mio trono e la terra è lo sgabello dei miei piedi. Quale tempio mi potreste costruire o quale luogo potreste fissarmi come dimora?» (Is 66,1).
Anche le pratiche cultuali furono poste in causa. Perché rammaricarsi — ci si chiese — dell'impossibilità di sacrificare giovenchi, di immolarE agnelli e capre e di offrire incensi? Non ha detto forse il Signore per nome del profeta «Che m'importa dei vostri sacrifici senza numero? Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo lo gradisco» (Is 1,11).
Era giunto il momento di purificare l'immagine che si erano fatta di Dio e di instaurare con lui un rapporto radicalmente nuovo.
Non era necessario un tempio per incontrare il Signore.
Egli non si rende presente in un luoro, ma nella sua parola e il sacrificio che gli è gradito è Pasco o della sua voce. Questa nuova spiritualità sbocciata a Babilonia fiorirà nei secoli seguenti. Il salmista pregherà il Signore: «Sacrifici e offerte non gradisci... Nel testo sacro c'è scritto che devo compiere ciò che ti dà gioia. E questo che io desidero, o mio Dio» (Sal 40,7-9). Ai suoi discepoli il saggio Qoèlet insegnerà: «Avvicinarsi per ascoltare vale più de sacrificio» (Qo 4,17) e Gesù proclamerà: «Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 11,28). Ascoltare sarà uno dei verbi chiave della Bibbia: ricorre 1188 volte nell'Antico Testamento e 428 volte nel Nuovo. A Babilonia nacque l'istituzione della sinagoga, il luogo dell'incontro di una comunità senza patria e senza tempio. Là gli israeliti hanno cominciato a riunirsi non più per offrire a Dio sacrifici cruenti, ma per ascoltare la sua parola, per leggere e interpretare le Scritture sante. Compresero che non era il santuario il luogo in cui erano chiamati a celebrare le lodi del Signore, ma la vita. Tornati in patria, recarono con sé una delle scoperte più significative della storia delle religioni: la fede in un Dio non associato a un'immagine, a uno spazio, a un luogo, ma agli eventi della storia. Anche le feste assunsero un nuovo significato.
Come tutti i popoli dell'antico Medio Oriente, prima dell'esilio Israele celebrava solennità legate alla natura, al volgere delle stagioni; erano feste agricole e pastorali: la luna nuova, le transumanze primaverili, la raccolta dell'orzo e del grano, la vendemmia. Dopo l'esilio queste feste furono reinterpretate alla luce degli interventi di Dio nella storia. La pasqua — in origine festa della primavera — divenne celebrazione della liberazione dall'Egitto; la festa della mietitura si trasformò in commemorazione del dono della legge sul Sinai; la festa delle capanne che concludeva la stagione agricola fu scelta per ricordare il soggiorno in tende nel deserto. Era nata la nuova fede che Israele avrebbe consegnato al mondo: la religione della contemplazione delle meraviglie operate da Dio, dell'ascolto della sua parola e della pratica della giustizia.
La cattedrale in cui si celebra questa fede è la vita, la storia è il santuario in cui si loda il Signore. Gesù — l'ebreo — ha portato a compimento questa rivelazione. Alla samaritana ha annunciato un nuovo tempio: «Né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre... E giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre corrispondendo fedelmente al suo amore» (Gv 4,22-23). E innegabile il disagio che oggi molti provano di fronte al disorientamento esistenziale di una società in cui i valori che contano non sono quelli religiosi, ma il denaro, il successo, il benessere, il piacere ad ogni costo. «Vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo» (Tt 2,12-13) è una proposta estranea alla nostra cultura e ai più risulta priva di senso. Non è saggio — assicura il Qoèlet — sostenere che «i tempi antichi erano migliori del presente» (Qo 7,10), tuttavia, ha una spiegazione il rimpianto che alcuni provano per il tempo in cui la giornata era scandita dal suono delle campane, il lavoro era accompagnato dalla preghiera e il trascorrere dei mesi era ritmato dalle solennità liturgiche. Questa nostalgia è il sintomo di una ricerca di interiorità, di un sano desiderio di respirare un'aria più spirituale.
A questo bisogno la chiesa non risponde con una spiritualità vecchia, già superata dagli israeliti nell'esilio babilonese, ma offrendo ai suoi figli, nel ciclo liturgico annuale, la contemplazione degli eventi della vita di Cristo e donando loro, come alimento, il puro latte della Parola, affinché con esso possano «crescere verso la salvezza» (1 Pt 2,2). Per impregnare della presenza del Signore tutta la vita della comunità, per trasformare tutta la quotidianità in tempo sacro, oltre ai tempi forti — Avvento, Natale, Quaresima e Pasqua — la chiesa, ha voluto sviluppare il mistero pasquale anche nel Tempo ordinario, nelle domeniche e in ogni giorno dell'anno. Ha proposto alla meditazione dei fedeli, nella liturgia domenicale e in quella feriale, episodio dopo episodio,il racconto evangelico di tutta la vicenda storica di Gesù.
Questa meditazione ha fatto sorgere nelle comunità il bisogno di riflettere più profondamente su mistero di Dio — per questo fu istituita la festa della Santissima Trinità — e di celebrare anche altri eventi significativi della vita di Gesù: l'Annunciazione della sua nascita, la Presentazione al tempio, la Trasfigurazione, l'Esaltazione della Santa Croce, il Pane eucaristico, il Sacro Cuore. Lungo i secoli, le feste religiose andarono gradualmente moltiplicandosi. Furono introdotte quelle dei santi, della Madonna, di san Giuseppe, le novene, le vigilie, le ottave, le sagre... Verso la fine del medioevo — il periodo del massimo sviluppo delle feste cristiane — i giorni festivi (oltre alle domeniche) si aggiravano, nell'arco di un anno, attorno ai 120-130, uno ogni due o tre giorni. Erano — è vero — anche occasione di svaghi non sempre onesti, di risse e disordini morali, suscitavano serie preoccupazioni nei pastori d'anime più accorti e pii, tuttavia, sono serviti a mantenere vivo nel popolo il riferimento al trascendente, il gusto della preghiera, l'attaccamento ai valori eterni. Con il Rinascimento e l'Illuminismo l'interesse per il cielo andò scemando; la gente si ripiegò sempre più sulle realtà terrene e il numero delle feste fu ridotto in modo drastico. Negli ambienti rurali le devozioni hanno continuato ad essere coltivate in un clima di intensa e autentica religiosità. Hanno favorito una vita morale virtuosa e impegnata anche se, purtroppo, il legame di queste feste con la Pasqua fu percepito sempre meno.
Il concilio Vaticano II ha riportato al centro di ogni azione liturgica la celebrazione dell'opera salvifica di Cristo e l'ascolto della parola di Dio. Ha conservato alcune delle festività più sentite dal popolo cristiano dando loro la giusta collocazione nell'anno liturgico e, soprattutto, arricchendole di testi biblici idonei ad alimentare il richiamo di ogni devozione alla Pasqua. Eredi della spiritualità germogliata a Babilonia e consacrata da Gesù — la spiritualità dell'ascolto della Parola — noi ci porremo in ascolto delle letture bibliche proposte nella liturgia di queste feste.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Conversione di san Paolo
Accompagnato per mano sulla via chiamata Diritta
Chi entra in Damasco dalla porta orientale imbocca la via Diritta. E l'antico decumano che, da est a ovest, attraversa tutta la città e che, fino ad oggi, ha conservato il nome datole dai romani.
L'autore del libro degli Atti ricorda che la casa dove Paolo fu accolto dopo aver ricevuto la rivelazione del cielo, si trovava lungo questa strada (At 9,11). Non voleva darci una banale informazione, ma comunicarci un messaggio.
La via: un'immagine che ricorre spesso nella Bibbia per indicare una scelta di vita.
Il Dio d'Israele non ama i compromessi, per questo ha proposto al suo popolo una scelta perentoria: «Io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male e ti comando di amare il Signore tuo Dio e di camminare per le sue vie» (Dt 30,15ss.). Giunti a un bivio bisogna scegliere: o una strada o l'altra.
«Tutte le vie del Signore sono giustizia» (Dt 32,4), ma come scoprirle? Esse sono lontane dalle nostre «quanto il cielo sovrasta la terra» (Is 55,9).
Desideroso di trovarle, il salmista implorava: «Signore, fammi conoscere le tue vie» (Sal 25,4). Anche Gesù ha ripreso questa immagine: «Larga e spaziosa è la via che conduce alla perdizione, è angusta invece la via che conduce alla vita» (Mt 7,13-14) e ha indicato se stesso come «la via» (Gv 14,6).
Coscienti di avere incontrato in Gesù la via della vita, i primi cristiani amavano identificarsi come «Quelli della via».
Quando si incamminò verso Damasco, Paolo era deciso a «condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della via» (At 9,2). Era persuaso di essere sulla retta via, di percorrere i sentieri diritti, quelli segnati dalle sacre tradizioni del suo popolo. Caparbiamente ancorato alle proprie convinzioni religiose, non era nemmeno sfiorato dal dubbio che qualche sua idea essere rimesse in discussione.
Era pieno di zelo, generoso, disposto anche a dare la vita per la causa in cui credeva; ma, come tutti fanatici, era intollerante con chi la pensava in modo diverso, non si poneva interrogativi, coltivava solo certezze.
Solo una luce del cielo poteva dissolvere la densa tenebra in cui era immerso e, a Damasco, condurlo sulla via chiamata Diritta dove la comunità dei seguaci della Via lo avrebbe accolto e cambiato da persecutore in apostolo delle genti.
O Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo: «Conducimi, Signore, nelle tue vie, guidami sul retto cammino.
Prima lettura (At 9,1-22)
Saulo frattanto, sempre _fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati. E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all'improvviso lo avvolse una luce dal cielo 4 e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Rispose: «Chi sei, o Signore?». E la voce: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce ma non vedendo nessuno. Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco, dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda.
Ora c'era a Damasco un discepolo di nome Anania e il Signore in una visione gli disse: «Anania!». Rispose: «Eccomi, Signore!».
E il Signore a lui: «Su, va' sulla strada chiamata Diritta, e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco sta pregando, e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire e imporgli le mani perché ricuperi la vista». Rispose Anania: «Signore, riguardo a quest'uomo ho udito da molti tutto il male che ha fatto ai tuoi fedeli in Gerusalemme. Inoltre ha l'autorizzazione dai sommi sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome». Ma il Signore disse: «Va', perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli dI Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome».
Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: «Saulo, fratello mio, mi ha mandato a te il Signore Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale venivi, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo». E improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame e ricuperò la vista; fu subito battezzato, poi prese cibo e le forze gli ritornarono.
Rimase alcuni giorni insieme ai discepoli che erano a Damasco, e subito nelle sinagoghe proclamava Gesù Figlio di Dio. E tutti quelli che lo ascoltavano si meravigliavano e dicevano: «Ma costui non e quel tale che a Gerusalemme infieriva contro quelli che invocano questo nome ed era venuto qua precisamente per condurli in catene dai sommi sacerdoti?».
Saulo frattanto si rinfrancava sempre più e confondeva i Giudei residenti a Damasco, dimostrando che Gesù è il Cristo.
«Ho visto il Signore, mi è apparso, si è fatto vedere anche a me». Con questo linguaggio biblico, Paolo racconta il suo incontro con il Risorto (1Cor 9,1; 15,6-8). Ma cos'è realmente accaduto lungo la via di Damasco?
Con un manipolo di guardie del tempio, Paolo lascia Gerusalemme e, a briglia sciolta, si lancia verso la capitale siriana per arrestare i discepoli del Signore. E ormai giunto alle porte di quella città quando una luce sfolgorante lo investe, lo sbalza da sella e lo scaraventa a terra.
E questo il quadro drammatico della «conversione» di Paolo che abbiamo impresso nella mente e che gli artisti hanno raffigurato.
Eppure, nel testo degli Atti degli apostoli non c'è alcun accenno né al cavallo, né alla scorta militare. I compagni di viaggio che a un certo punto prendono per mano l'apostolo e lo conducono in città non sono soldati, ma persone che casualmente si trovano con lui per strada.
Qui trovi riportati i commenti degli utenti di LibreriadelSanto.it, con il nome dell'utente e il voto (espresso da 1 a 5 stelline) che ha dato al prodotto.
I commenti compaiono ordinati per data di inserimento dal meno recente (in alto) al più recente (in basso).
lara sinigaglia il 18 novembre 2014 alle 09:21 ha scritto:
Mi piace molto, è bellissimo....Devo fare un regalo, e questo regalo gli piacerà molto, lui è appassionato della liturgia come me.