Presente
-Una piccola etica del tempo
(Universo teologia)EAN 9788821593000
Il tempo è parte integrante della materia della storia: è la trama del suo tessuto, mentre la libertà umana ne è la spola, scriveva Reinhold Niebuhr. Ma cosa sia veramente il tempo è una domanda che non ha ancora trovato piena risposta. «Se nessuno mi chiede cos’è il tempo: io lo so; se volessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so»: recita la celebre definizione agostiniana. Esiste il tempo della natura, degli avvenimenti, del prima e dopo, il tempo della durata o della continuità, quello che si consuma in una successione di istanti e il tempo che non c’è più. Al tempo dedicano le loro risorse cosmologi, fisici, astrologi e filosofi, lo fanno anche i teologi distinguendo il tempo che porta dentro di sé il filo sottile di una speranza e che avanza verso il futuro di Dio. La certezza della fede non abolisce però la fatica di vivere il proprio tempo, né rende vana o futile ogni preoccupazione al riguardo. Il tempo è la materia grezza che gli uomini sono chiamati a cesellare, occorre che acquisti un significato, fare in modo che passi attraverso la nostra libertà.
Come vivere la temporalità: penso sia qui il nocciolo del breve ma denso saggio che il giovane professore milanese di adozione, Stefano Biancu, ha appena dato alle stampe. Già noto nell’ambiente, per aver pubblicato opere che lo stanno progressivamente imponendo all’attenzione, l’Autore dice subito più ciò che il suo libro non è e non vuole essere di ciò che effettivamente è. L’uomo vive il tempo in modo paradossale, come padrone, come estraneo, o come vittima di un gioco che si consuma altrove. Il tempo è una di quelle realtà dove il legame tra soggetto e oggetto si sfalda, ha una dimensione antropologica e però la trascende, perché interroga. Più che averlo davanti a sé, l’uomo lo trova dentro di sé, pensa di doverlo attraversare mentre ne viene attraversato e interpellato, manifestandosi in un gioco di esperienze multiple. Di qui l’originalità dell’approccio, che si caratterizza con un’ermeneutica sapienziale. L’Autore fa leva sull’esperienza, «che alla figura della distanza predilige quella della prossimità, dell’intimità» (9).
Senza fare della semplice letteratura, ma restando nel rigore dell’analisi filosofica, il testo non disserta su cosa sia il tempo, ma su come l’uomo si rapporta a esso e può viverlo. Dotato di autocoscienza, egli è l’unico essere vivente che si trova a dover organizzare il tempo, a dargli una finalità se non vuole esserne completamente schiacciato. Paradossalmente, quindi, non è il pensiero a rivelare il senso del tempo, ma l’azione in cerca di senso, «l’uomo – in altri termini – fa esperienza del tempo a partire da quella originaria e implicita “preoccupazione della salvezza” che caratterizza tutto il suo agire» (19).
La domanda che l’uomo pone alle sue azioni, anche le più semplici, è una domanda di salvezza. È il bisogno primordiale, che ciascuno, però, vive alla sua maniera. Incontriamo così la noia come disgusto del tempo, la distrazione come tempo da colmare, e il qui e ora come tempo del lavoro, realtà antropogenetica, ma che può diventare totalitaria se si esclude il riposo, che dà al tempo la sua giusta misura. Risulteranno qui interessanti alcune pagine dedicate all’aspetto culturale.
Si entra quindi più decisamente nel polo magnetico del volume che è l’etica. Il problema rimane quello di non semplicemente attraversare il tempo, ma di abitarlo “sensatamente”. E qui l’appello alla libertà si fa indicativo, oltre che imperativo: «Il bisogno dell’uomo di abitare il tempo trova dunque adeguata soluzione soltanto a condizione che il soggetto si assuma la responsabilità del proprio tempo» (50). Vissuto dalla libertà, il tempo passa dalla nebulosa alla forma, da nemico ad amico, e l’uomo da spettatore ad attore. Solo così diventa storia e costruttore di identità. Idea guida è la simbolicità, che non rende il tempo un contenitore vuoto, caratterizzato solo dall’estensione, ma dove la qualità prevale sulla quantità. Paradossalmente, perciò, il senso non sta prima, come condizione previa per vivere il tempo, ma «ogni tempo, anche il più negativo e il più doloroso – persino quello che reca con sé l’esperienza del male – contiene in sé una promessa: la promessa che un senso c’è, sebbene esso rimanda indisponibile e misterioso. Un senso che domanda però un assenso, una decisione a rischio di sé» (59).
Dopo il bisogno e il dovere, le altre due esperienze considerate sono il diritto e la virtù. La prima riprende la questione del lavoro, sintonizzato su temi come il tempo liturgico e sabbatico, e si dedica alla questione dei minori. Le virtù danno un’etica al tempo e fanno crescere l’uomo in esso, invitandolo a discernere ciò che vale da ciò che non vale. Offerto alla sua libertà, il tempo non è mai un rifugio sicuro e richiede un’ascesi, con virtù quali la pazienza, la fedeltà, la perseveranza. È possibile, secondo un’immagine pirandelliana, che ci senta come uomini gettati da un treno in corsa, vivendo da assenti in un tempo presente, ma la speranza, che contiene le tre virtù citate, è coraggioso confronto con la realtà, «non è fuga dal tempo e dalle sue sfide: è invece la forma umana dell’abitare il tempo. L’unico modo per vivere a proposito, per non essere sempre irrimediabilmente assenti quando il tempo è presente» (117). Un bel libro, quindi, una meditazione sapiente. Stefano Biancu si fa Qohelet moderno, dandoci un’esperienza rivelatrice del tempo, che diventa l’appello con cui l’eterno scrive a lettere invisibili nella cronologia degli uomini.
Tratto dalla rivista Lateranum n.1/2015
(http://www.pul.it)
-
20,00 €→ 19,00 € -
2,00 €→ 1,90 €
-
-
-
17,00 €→ 16,15 € -
-
-
-