Rivelazione di Dio e ragioni della fede
-Un percorso di teologia fondamentale
(L'abside)EAN 9788821575716
Il volume che presentiamo costituisce un’edizione ampliata e completamente rivista in alcune parti del testo La rivelazione. Fenomenologia, dottrina credibilità edito dalla San Paolo nel 2000 e da alcuni anni esaurito. Si tratta per certi versi non di un’opera ma dell’“opera” di Carlo Greco, per una vita docente di Teologia fondamentale e Filosofia della religione presso la PFTIM- Sez. S. Luigi. E devo dire, io che ho seguito nei miei studi le lezioni di p. Greco, che questo trattato-manuale aiuta non solo a fare chiarezza sullo statuto della teologia fondamentale ma anche articola in concreto e declina i contenuti del modello senza limitarsi ad enunciarlo.
Da sempre, nel contesto delle discipline teologiche, la fondamentale ha rappresentato il luogo della fondazione critica della fede nell’incontro e confronto con il pensiero filosofico e la cultura del tempo, confronto che si è fatto più serrato da quando la modernità illuminista ha revocato lo statuto di realtà alla rivelazione e ne ha quindi negato la plausibilità ontologica e la validità antropologica. Anche nel clima postmoderno di tramonto e revisione dell’identità della ragione, nonché di emergenza di nuovi scenari e contesti, permane – casomai ancora più avvertito e oneroso – il compito della fondazione della fede sia ad intra verso gli stessi credenti (l’altro dalla fede in chi crede), che ad extra, verso coloro che pur non essendo credenti interpellano la fede.
Chi crede avverte come necessario e consequenziale interrogarsi, ricercare, argomentare le ragioni della fede, perché la fede rimanga un atto umano che, in quanto determina il senso della vita e delle cose, non può essere una decisione arbitraria ma deve possedere dei motivi e tali da poterla legittimare, poiché se l’uomo non può esigere ragioni evidenti per credere, tuttavia «non può prescindere dalla conoscenza dei motivi sufficienti per giustificare la propria decisione di fede» (32); e dal momento che è in gioco il senso, l’accettazione di esso nella sua pretesa di validità universale esige la possibilità di fronteggiare le obiezioni della ragione critica provenienti dai contesti (le “con-testazioni” nel senso di H. Waldenfels). Nel passato, secondo l’Autore, i modelli di giustificazione della fede sono stati tre: anzitutto l’apologetica dimostrativa neoscolastica, che nel contesto e usando gli strumenti concettuali dell’interlocutore illuminista mirava ad una vera e propria demonstratio della verità della religione cristiana e della Chiesa cattolica per sottrarla all’isolamento fideistico; poi l’idea dell’autofondazione della fede che da Barth (e direi fino a Balthasar, autore non citato da Greco su questo punto) fa della fede l’unica garanzia dell’evento della rivelazione la quale a sua volta fonda la fede, con il rischio di un circolo vizioso che conduce «a un fideismo e soggettivismo inaccettabili per la stessa decisione del credere e che rendono di fatto incomunicabile la stessa rivelazione» (35). Infine la giustificazione della fede, ovvero la legittimazione ricorrendo a un elemento estrinseco alla fede, cioè il religioso in chiave sia etica che metafisica. Nel presente, la teologia fondamentale si propone anzitutto come una riflessione che sgorga dall’orizzonte di senso costituito dalla rivelazione allo scopo di esplicitare tale senso rendendolo intellegibile e credibile a partire dai contenuti della fede.
L’evidenza della rivelazione che rende possibile l’atto di fede deve valere anche per la ragione critica, pena il rischio di arbitrarismo e irrazionalismo che inevitabilmente privano di universalità e definitività la rivelazione e il senso che essa trasmette all’uomo. Lungi dal poter dire che la rivelazione è razionalmente vincolante, la teologia deve mostrare che è giustificata razionalmente, «cioè che l’esperienza di fede è fondamentalmente affidabile, rimuovendo per quanto possibile le obiezioni sollevate contro tale affidabilità e in positivo esplicitandone le ragioni e lo specifico logos» (39). Si tratta, in definitiva, di mostrare l’intrinseca ragionevolezza della rivelazione divina indagandone ed esplicitandone le condizioni di possibilità e la fondatezza conseguente dell’adesione di fede, il che accade trasformando, come scriveva Seckler, la certezza vissuta della coscienza credente (Gewissengewissheit) in certezza della conoscenza (Wissengewissheit) fondata in maniera scientifica.
Abbiamo così i due momenti della teologia fondamentale. Se essa è innanzitutto chiamata a individuare e giustificare il fondamento della fede, nel momento fondante-fondativo accerterà con metodo fenomenologico-ermeneutico l’evento della rivelazione, la sua natura, essenza, soggetto, contenuto e scopo mediante un’“ermeneutica delle origini”. In secondo luogo, nel momento apologetico, seguendo un metodo critico-veritativo, mirerà all’elaborazione di una “ermeneutica della rilevanza” che fondi la credibilità, cioè individui gli elementi che rendono ragionevole l’assenso di fede, e medi credibilmente la sua verità nel contesto storicamente circoscritto, ermeneuticamente dato, dell’autocomprensione dell’uomo. Alla luce di questa idea di teologia fondamentale prende forma il volume con le sue due parti. Nella prima parte (“Fenomenologia ed ermeneutica della rivelazione”) si intende cogliere l’essenza della Rivelazione nelle fonti bibliche, nella storia e nel magistero della chiesa. Abbiamo così il rinvenimento della nozione biblica di Rivelazione nell’AT mediante un approccio filologico e fenomenologico per individuare l’esperienza biblica della manifestazione di Dio nella creazione, nella storia (l’esperienza del Sinai e dell’alleanza), nella parola profetica, nella dialettica nome-nomi di Dio. Segue poi la sezione sulla Rivelazione nel NT, ovvero la cristologia fondamentale, dal momento che se la struttura sacramentale (evento e parola) costituisce anche per il NT la struttura formale dell’evento rivelativo, esso, tuttavia, ha come centro unificante Gesù di Nazaret (cf. il Prologo di Eb).
La determinazione dell’identità di Gesù avviene ripercorrendo tematiche quali il profeta escatologico, il regno di Dio e i suoi segni (di misericordia e di potenza), ovvero la questione dei miracoli. Il capitolo su Gesù Cristo rivelatore del Padre nel Vangelo di Giovanni (cf. 182-191) introduce ai capitoli sul mistero pasquale: la morte di Gesù, l’esperienza dell’abbandono, la crisi della sequela, la risurrezione (linguaggio, tradizione formulare, racconti evangelici, apparizioni pasquali). In questa parte si sente il debito verso gli studi di R. Penna e soprattutto verso W. Kasper il cui Gesù il Cristo è molto presente, talvolta ripreso alla lettera senza che le sue parole siano virgolettate (a mo’ di esempio: 164 [113], 205-206 [169], 216 [206], 227 [208]). Si passa poi ad esaminare la rivelazione nella storia analizzando i due momenti della riflessione magisteriale sulla Rivelazione: la Dei Filius e il cap. I della Dei Verbum sul quale – e sulla Rivelazione in generale (dallo schema De fontibus al testo finale) – si poteva spendere qualche parola in più. Segue poi la parte più “delicata” ed onerosa, quella relativa al momento apologetico, la legittimazione critica (credibilità) della Rivelazione, cioè che cosa determina sul piano conoscitivo l’adesione di fede, quale sia la modalità della sua certezza e come essa sia rilevante per l’uomo di oggi. In un primo momento si cerca la legittimazione della Rivelazione di fronte alle istanze delle ragione filosofica che s’interroga sulle condizioni di possibilità ontologica e di conoscibilità della rivelazione di Dio a partire dal suo accadimento. Le pagine dedicate alle istanze della ragione critica si aprono con un capitolo fondamentale sullo statuto ontologico della rivelazione (cf. 313-323). Il superamento delle aporie legate all’idea stessa di Rivelazione (come può il trascendente rivelarsi senza cessare di essere tale perdendo nell’immanenza alterità e trascendenza o risolvendo la finitezza dell’immanente nell’infinito trascendente senza la possibilità che ognuno resti se stesso e possa entrare in una relazione reale con l’altro) avviene mediante l’affermazione di Dio come essere in sé autodifferenziato e relazionale; solo la realtà trinitaria di Dio, la cui identità la relazione traduce e rivela come amore (cf. 1Gv 4, 8.16), cioè solo l’alterità in Dio e l’essere relazione rendono possibile la posizione dell’evento creatore ex nihilo, l’apertura di Dio verso l’altro da Dio non come Dio, ovvero il finito. Accanto all’orizzonte trinitario, l’idea della rivelazione simbolicamente mediata, poiché se Dio in quanto tale apparisse in modo immediato o perderebbe se stesso – riducendosi a semplice fenomeno del mondo – o annullerebbe il mondo; la struttura simbolica della rivelazione raggiunge il suo vertice nel mistero dell’incarnazione. Proprio la non assunzione dell’orizzonte trinitario diventa la ragione di riduttivismi teologici che mirano a negare la possibilità di una rivelazione di Dio nella storia (cf. il cap. XXIII), come nel caso di Torres Queiruga che considera l’evento della risurrezione l’esempio di un “deismo interventista”, mentre invece la rivelazione andrebbe colta solo dal punto di vista dell’uomo come captazione di quello che Dio sta tentando di dirci attraverso la creazione (cf. 368-375). Dallo statuto ontologico si passa allo statuto epistemologico della rivelazione, ovvero la sua conoscibilità da parte dell’uomo, ed anche qui riemerge la necessità di pensare la conoscenza della rivelazione come conoscenza simbolica (cf. 330-338).
Accertata la possibilità ontologica ed epistemologica della rivelazione (essere e conoscibilità) il cap. XXII tematizza l’agire di Dio nel mondo e la rivelazione nella creazione confrontandosi con la visione scientifica e la problematica dei miracoli riprendendo le posizioni di Kasper (a pp. 352-353 ci sono brani delle pp. 120-121 di Gesù il Cristo senza rimando in nota). Il confronto con le istanze della ragione storica occupa i cap. XXIII-XXVII. In particolare viene ripresa la questione della storicità della Rivelazione a partire e, soprattutto, oltre l’impianto dell’apologetica moderna che ha avuto un approccio inadeguato all’evento Cristo limitandosi alla considerazione di quei signa certissima attestanti la sua missione divina e la verità della sua dottrina (miracoli, profezie) e smarrendo un approccio adeguato alla realtà di Gesù di Nazaret.
Viene così ripercorsa la ricerca sul Gesù storico nelle sue tappe ma soprattutto si cerca di legittimare l’evento centrale e fondatore della fede cristiana, la risurrezione, mostrando la sua storicità come pure il suo carattere singolare di evento senza analoghi, metastorico con valenza storica. Al testimone e alla testimonianza (la mediazione testimoniale) è dedicato il cap. XXV, mentre il cap. XXVI ripercorre i diversi modelli teologici che hanno cercato di dire il significato universale dell’evento storico di Gesù Cristo (cf. 425-454). La riflessione sul rapporto tra particolarità e universalità della rivelazione cristologica occupa il cap. XXVII che conclude la sessione dedicata al confronto con le istanze della ragione storica. L’orizzonte si apre ad un confronto con la ragione etico-pratica a partire dall’assunto che lo scopo della Rivelazione è la redenzione-liberazione dal male e dalla morte nella storia e nella carne degli uomini. In questo senso, la teologia fondamentale è chiamata a mostrare la credibilità della fede cristiana anche di fronte alla realtà del male e nel paragone con le altre proposte salvifiche che provengono dalle religioni.
A ciò sono dedicati gli ampi e ben documentati capp. XXVIII e XXIX (cf. 479-529). L’autore sin dall’inizio dichiarava che tra le problematiche suscitate dalla congiuntura epocale postmoderna, di cui la teologia fondamentale deve tener conto nel rendere ragione della fede – come occasione e come sfida –, vi è anche la drammatica povertà mondiale la quale mentre stimola la teologia a un’ermeneutica pratica del messaggio cristiano, l’aiuta a «riscoprire l’intrinseca forza evangelizzatrice e trasformatrice della carità, e al tempo stesso a misurare nel confronto concreto con le situazioni di disumanità il significato e la verità della salvezza annunciata dalla fede cristiana» (30). Su questo punto così importante ci saremmo aspettati qualche approfondimento in più in sede di seconda parte. Una sezione sul pluralismo religioso e la questione della verità, altro elemento contestuale nella contemporaneità, chiude il volume. Tra i tanti manuali di teologia fondamentale questo di C. Greco con le sue oltre 580 pagine si raccomanda per la completezza delle analisi, l’ampiezza speculativa della riflessione e una trattazione considerevole di quell’ambito della credibilità che, o rimane talvolta in ombra, oppure è ridotto entro modelli particolari che la “sacrificano”, non riuscendo a far emergere la specificità della teologia fondamentale, chiamata a dire in concreto, nei contesti ermeneuticamente situati e storicamente dati, le ragioni della fede. Pertanto la lettura del testo è raccomandata, come pure il suo utilizzo nelle istituzioni teologiche.
Tratto dalla rivista Lateranum n.2/2013
(http://www.pul.it)
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