Genetica umana e bene comune
(L'abside) [Con sovraccoperta]EAN 9788821561368
Gesuita, pediatra e docente di teologia morale, l’a. sceglie di affrontare le problematiche sollevate dai recenti progressi della genetica umana assumendo come criterio il bene comune. Nella I parte è quindi presentato il principio del bene comune a partire da un itinerario storico-ermeneutico; quindi (II) vengono identificate le nuove sfide morali, in particolare l’informazione genetica. Infine nella III parte si esprimono con prudente equilibrio delle «aperture interdisciplinari critiche», che riescono efficacemente a rendere la complessità della materia e la necessità di porsi in modo critico, ma anche propositivo e innovativo, «sulla soglia».
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 14
(http://www.ilregno.it)
I temi bioetici sono oggi spesso oggetto di accese controversie morali e politiche, piuttosto che di pacate discussioni nelle quali si è alla ricerca di elementi di approfondimenti sulla base di concetti condivisi. Il libro di Vicini, gesuita, docente presso la Facoltà Teologica Meridionale di Napoli, sezione San Luigi, si impone invece per l’ampiezza di prospettive e per un sapiente sviluppo della tematica, maturata nella consapevolezza della pluralità di modelli bioetici e mossa dalla determinazione a ricercare criteri e valori che possano illuminare il senso umano e cristiano della vita.
Già nella introduzione generale, l’A. fa una scelta non solo «di campo» – la genetica umana –, ma anche di stile: ci invita a porre attenzione a tutte le persone coinvolte nella ricerca genetica, vale a dire coloro che sono affetti da malattie genetiche, i ricercatori, i cittadini di tutto il mondo, con la loro disparità di situazioni economiche che permette solo ad una minoranza l’accesso alle terapie geniche. Porre l’accento sulla persona, significa ribadire che essa è il punto d’arrivo di ogni interesse alla bioetica. La finalità teologica porta anche alla scelta di un principio che illumini il senso umano e cristiano del vivere in società, individuato nel bene comune: si intende mostrare «come esso possa essere utilizzato in modo pertinente e rilevante nell’affrontare problematiche etiche sollevate da recenti progressi in genetica umana e, in particolare, riguardanti l’informazione genetica» (13). Quella del bene comune è la scelta di un approccio morale che fa da sfondo, di una dimensione qualitativamente rilevante (cf Carlotti) e quantitativamente definibile come insieme di condizioni che permettono il conseguimento della propria perfezione a persone e società (cf GS 26).
Nella prima parte l’A., usando il metodo storico-genetico, ricostruisce il concetto di bene comune con l’apporto della Scrittura, della filosofia dell’antichità greca e latina, della teologia cristiana, soprattutto quella tomista, della modernità da Hobbes a Priestly, di Maritain. Il pregio della prima parte consiste sia nell’approfondimento biblico, che di rado troviamo presente nelle diffuse trattazioni del bene comune, sia nel riferimento al pensiero politico classico, verso cui si guarda con stile dialogico. L’A. infatti scrive. «Il mio interesse per il principio del bene comune non dipende solo dal fatto che esso è presente nella tradizione cui appartengo (…) ma anche perché io ritengo che esso faccia parte di quanto è in comune tra cristiani e non» (229). Nella seconda parte, che tratta della genetica umana, l’A. non ha la pretesa di essere esaustivo, ma seleziona le tematiche: l’analisi della patologia di Huntington, una disfunzione mentale trasmessa ereditariamente da un gene, che ha permesso di individuare l’origine delle patologie genetiche (cap. I); il Progetto Genoma Umano nel suo sviluppo, che va dagli inizi degli anni ’90 del XX secolo, al 2003, e che oggi fornisce la mappa completa del genoma umano (cap. II); le implicazioni etiche, legali e sociali dello stesso progetto (cap. III), sintetizzato nell’acronimo ELSI (Ethical, Legal and Social Implications).
Nella trattazione di questo specifico tema non si perde di vista la prospettiva del bene comune, perché si evidenzia come il programma ELSI «costituisce un esempio globalmente positivo di come la riflessione etica possa associarsi a un importante progetto scientifico» (325). Nel cap. IV l’A. prende in esame le istanze etiche emergenti dalla possibilità di accedere alle informazioni genetiche e nel V le opportunità offerte dai test e screening genetici nelle loro implicazioni etiche e politiche. Risulta di capitale importanza definire quanto sia complessa l’informazione genetica: essa è distinta ma non separabile totalmente dall’informazione sanitaria, e allo stesso tempo pone problemi circa l’accessibilità dei dati a soggetti diversi dalla persona interessata. Qui si pone un interrogativo: chi deve essere interessato alla ricerca genetica? Se siamo soggetti relazionali che vivono all’interno di una società civile, perché non tutti potrebbero beneficiare delle relazioni sia socialmente che biologicamente? Gli esempi portati nel capitolo V, sulla rilevanza etica di test e screening genetici, pone in evidenza come in essi sia in gioco la visione del bene comune.
Se infatti un test genetico nel contesto di procreazione medicalmente assistita porta alla selezione degli embrioni da impiantare, ci si chiede come sia mutata l’idea di bene comune: «Ricercare il bene comune è però una proposta, un invito, una provocazione morale che chiede di uscire da una percezione in cui l’altro è individuato in maniera selettivo e limitato (ad esempio, l’altro sono io o chi mi circonda immediatamente e che considero come parte di me perché uguale a me). Si tratta di compiere il bene dell’altro, dove questo “altro” è il prossimo concreto e non solo l’immagine speculare del soggetto» (352). Quale sarò il bene comune in ambito bioetica? Si chiede precisamente l’A.: «È possibile definire un bene comune in genetica umana che non sia la proiezione degli interessi esclusivi del singolo o di un gruppo a scapito di altri gruppi, ma che riguardi i gruppi e l’umanità intera?» (366). La risposta è che il bene che risponde a questi requisiti è la salute, quale bene per il soggetto, per i gruppi e per l’umanità. Un bene, aggiungiamo noi, che presuppone la tutela della vita.
La terza parte costituisce una sezione particolarmente pregevole per ricchezza di informazioni e per acume di analisi. È suddivisa in due capitoli: comunicare e criticare. Il comunicare si riferisce all’analisi con cui il Progetto Genoma Umano è stato presentato, pubblicizzato, enfatizzato anche attraverso metafore, tra le quali ci piace ricordare quella utilizzata dal premio Nobel Walter Gilbert, che ha definito il menoma umano il «Graal della genetica umana», una ricerca sacra i cui cavalieri, depositari della salvezza dell’umanità, sarebbero gli scienziati (cf 414). Il discorso retorico che accompagna la ricerca scientifica promuove la scienza, ma non analizza alcuni aspetti che sono moralmente rilevanti e che ci interrogano sulle modalità con cui parliamo del paziente, su quali ricadute abbiamo sul rapporto medico-paziente. Queste domande interessano al teologo, «perché è in gioco il bene dell’altro, perché la relazione essenziale con Dio in Gesù Cristo è incarnata e ha il volto e il corpo di chiunque, e in particolare di chi soffre» (433).
Il secondo capitolo, sul «criticare», applica la metodologia ermeneutica del filosofo francese Michel Foucalt alla lettura critica del Progetto Genoma. Centrale è il concetto di bio-potere del Foucalut, un potere che mira a «normalizzare gli individui attraverso mezzi sempre più razionalizzati, ad esempio strutture arbitrarie, che trasformano le persone umane in docili oggetti» (437). Il risultato è una trasformazione antropologica: l’uomo che percepisce se stesso come un «Sé genetico», cioè colui che ha un ritratto biologizzato di se stesso: (478) Abbiamo infine un micro-potere, che è la possibilità dei laboratori genetici di manipolare i geni, e il macro-potere che caratterizza le forze economiche e scientifiche all’interno della società, con l’unico scopo di allargare i propri interessi economici e politici (cf 443). L’analisi critica propone come alternativa e propositiva la promozione del bene comune, a vantaggio di tutti i cittadini e dei meno avvantaggiati sparsi su tutto il globo. Condividiamo appieno lo stile dell’A., quando confessa che non si riconosce nella scelta «forte» di chi entra nel «territorio del bene» con spirito di conquista, con spavalderia, certo di possedere la verità sui modi per realizzare il bene comune (cf 482). Egli è voluto rimanere «sulla soglia delle verità e del bene», nell’atteggiamento suggerito dal biblista Beauchamp, convinto che «stando sulla soglia già si agisce e si può agire insieme, interagendo e partecipando con altri che si ritrovano nella ricerca condivisa del bene comune secondo modalità criticamente alternative ed evangelicamente deboli, povere» (484). Tali affermazioni, al termine di una trattazione così ampia e documentata, di un’analisi critica ma pacata, non sono professione di ingenuità di fronte alla realtà complessa della ricerca scientifica, ma espressione di un metodo teologico originale, fedele a Dio e all’uomo, creatura amata da Dio. Il ricco apparato bibliografico (499-571) testimonia la ricchezza della ricerca e fa sì che questa opera, con le caratteristiche già sottolineate, si imponga all’attenzione della ricerca bioetica anche al di fuori dell’ambito teologico morale. Anzi, traccia un percorso rigoroso e lungimirante.
Tratto dalla Rivista di Scienze Religiose n. 1/2009
(http://www.facoltateologica.it/rivistadiscienzereligiose.html)
-
-
7,50 €→ 7,12 € -