Nei primi quattro anni del suo lungo pontificato (1978-2005), Giovanni Paolo II dedicò le udienze generali del mercoledì al più ampio insegnamento che un papa abbia mai impartito su un medesimo argomento: la «teologia del corpo», un approccio originalissimo - ma altrettanto sconosciuto, ignorato - sul corpo, la sessualità e il matrimonio. Paradossalmente, quest'insegnamento resta ancora sconosciuto, nonostante si tratti, secondo l'autore, di vere e proprie svolte sia nella teologia cattolica sia nella storia del pensiero moderno.
PREFAZIONE
di MONS. DOMINIQUE REY
Nelle catechesi del mercoledì dedicate all'amore urna-no secondo il piano di Dio, Giovanni Paolo II elaborò un'antropologia che rivaluta in modo innovativo e consapevole la teologia del corpo. Con vero talento pedagogico, Yves Semen si ripropone di far partecipare il lettore ai risultati di quella teologia e di rendere accessibile al grande pubblico il pensiero del papa. Un pensiero che «cerca di capire e interpretare l'uomo sotto l'aspetto per cui è essenzialmente umano». Basandosi sull'esperienza dei significati che della sessualità emergono alla coscienza e fedelmente commentando l'insegnamento di Giovanni Paolo II sulla teologia del corpo, Yves Semen ne sottolinea l'arricchimento «personalistico» rispetto a una teologia classica del matrimonio, maggiormente «istituzionalistica» e quindi più «oggettivistica», perfino «fisicista». Non va neanche trascurato il radicamento profondo nelle Scritture di questa teologia del corpo secondo Giovanni Paolo II.
Dobbiamo in effetti sottolineare che nella Costituzione Gaudium et spes il concilio Vaticano II, dando ascolto a certe correnti personalistiche degli inizi del secolo XX, aveva scelto di presentare il matrimonio non già e anzitutto come un'istituzione, cioè un officium naturae, bensì come una communitas vitae e amoris coniugalis, al primo posto mettendo quindi i valori personali dell'amore.
Giovanni Paolo II, la cui formazione filosofica fu impregnata di personalismo, si pone evidentemente sulla medesima linea, e nell'enciclica Familiaris consortio e nelle catechesi del mercoledì precisa ulteriormente questi arricchimenti personalistici. È comunque anche un fatto che la sua formazione teologica, d'ispirazione nettamente tomistica, corregge un certo qual «personalismo psicologico» che volesse insistere esclusivamente sui dati soggettivi dell'amore coniugale, con il rischio di minimizzare i dati oggettivi del corpo, per sviluppare invece un «personalismo oggettivo, od ontologico», che intende mostrare come il corpo, nell'uomo, in ragione della sua sostanziale unità con un'anima spirituale, sia dotato d'un «linguaggio» e d'un «significato» sponsali. Fa perciò ben risaltare come il «significato» sponsale del corpo affondi le radici nella sua «struttura intima», che l'orienta intrinsecamente alla donazione interpersonale degli sposi nell'amore.
Il presupposto di queste affermazioni, presupposto che a me pare un vero e proprio «principio sintetico» del pensiero di Giovanni Paolo II in questa materia, è, secondo l'originale espressione della Gaudium et spes, l' idea della vera «natura della persona umana» (n. 51), per cui l'uomo è «unità di corpo e anima», corpore et anima unus (n. 14). Ciò porta ad affermare che la sessualità — incarnata nella realtà corporale dell'uomo e della donna — è una «componente fondamentale» della persona: mascolinità e femminilità sono attributi della persona e ne qualificano la sua «unità sostanziale», o «totalità unificata», e non sono quindi una semplice differenza accidentale; in questo caso, invero, si potrebbero anche sostenere dei comportamenti sessuali in cui la differenza non avrebbe più importanza alcuna, e quindi i significati unitivo e procreativo della sessualità sipotrebbero anche dissociare, per collegarli invece alla sincerità dei sentimenti
Infondo, la grande idea sviluppata da Giovanni Paolo II, in particolare nelle sue catechesi sulla teologia del corpo, è che il carattere sponsale del corpo è l'incarnazione della capacità della persona di amare come dono di sé. Nell'enciclica Veritatis splendor, Giovanni Paolo II tornerà su quest'unità sostanziale di corpo e anima che costituisce la «natura della persona umana», contro ogni dualismo che volesse confinare il corpo alla periferia della persona: il corpo e l'anima sono intimi l'uno all'altra.
In un contesto di relativismo e pluralismo in materia di morale, quest'opera di Yves Semen ci aiuta a riprendere in considerazione, con grande fedeltà all'insegnamento morale della Chiesa, come la risurrezione del corpo illumini la realtà attuale della sessualità.
INTRODUZIONE
Come vivere bene con un'anima e un corpo, un corpo sessuato? Come fare un'unità di queste due dimensioni che ci fanno essere quel che siamo e tuttavia paiono fra loro nemiche? Come vincere questo contrasto, quest'opposizione che percepiamo in noi, e spesso in maniera dolorosa, per non dire angosciante?
Queste domande non soltanto hanno scandito tutta la storia umana, come tutte le culture dimostrano, ma sono anche un interrogativo d'ogni cuore umano, nel più profondo di esso. Abbiamo coscienza — e non è anormale — d'avere delle difficoltà ad accettarci nella dualità del nostro corpo e della nostra anima. Percepiamo questa disunità come un dramma, e di ciò accusiamo noi stessi, rendendoci responsabili della contraddizione fra gli slanci della nostra anima, della nostra ragione, della nostra intelligenza, della nostra volontà, di tutto ciò che di spirituale c'è in noi e le pesantezze del nostro corpo, dei nostri sensi, della nostra «carne».
O, magari, di tutto ciò accusiamo Dio, rimproverandogli d'aver creato l'uomo con un'anima o d'averlo creato con un corpo. Avesse creato l'uomo puro spirito o semplice animale! Viviamo questa situazione come una contraddizione nel più intimo e segreto di noi, e alla fin fine è proprio lì che si gioca il successo o il fallimento di tutta la nostra vita umana. Tutta la vita dell'uomo può riassumersi nel tentativo d'arrivare a un equilibrio — che comunque resterà sempre precario, imperfetto e incompleto — fra queste due dimensioni del suo essere che non riesce a far coesistere in maniera armoniosa. La sapienza pagana l'esprime nel celebre detto del poeta Ovidio, contemporaneo di Gesù: «Vedo ciò che è meglio e l'approvo, ma poi compio il peggio». Non vi scampa neppure Paolo, che si lamenta: «Vedo una legge (...) nelle mie membra che osteggia la legge della mia mente (...). Uomo infelice che sono! Chi mi libererà da questo corpo che mi porta alla morte?» (Romani 7,23-24). Rifiuto del corpo o rifiuto dello spirito: proprio questo pare il dilemma fondamentale della condizione umana, da cui il più delle volte tentiamo d'uscire negando il nostro corpo, dato che abbiamo come un sentimento di disumanizzarci di meno rifiutando il corpo che non negando lo spirito.
E se un luogo c'è in cui assai concretamente prendiamo coscienza di tutta la nostra difficoltà a coniugare ciò che di spirituale c'è in noi con ciò che c'è di carnale è proprio il matrimonio, come il luogo di esercizio normale o abituale della sessualità. E in effetti, par proprio che sia la sessualità a cristallizzare in sé l'essenza della contraddizione fra corpo e spirito, segnata come essa è, tutt'insieme, da magnificenza e povertà. Magnificenza dal punto di vista della sua finalità, direttamente connessa con il mistero della vita; povertà dei mezzi in cui s'esprime e in cui l'uomo sente tutta la sua tremenda vulnerabilità carnale.
Tutto ciò è più d'una semplice problematica antropologica e psicologica; è anche una problematica teologica di fondamentale importanza. Infatti, la religione cristiana è anzitutto e soprattutto una religione del corpo, fondata com'è sull'incarnazione del Verbo di Dio. E non è che ciò non sollevi dei problemi. La storia della Chiesa e dello sviluppo della dottrina cristiana è la prova di quanto sia difficile capire e accettare che un Dio si faccia uomo e adotti tutte le dimensioni della condizione umana: «Visse in tutto la nostra condizione, eccetto il peccato», dice la quarta Preghiera eucaristica. E su questo punto che l'intelligenza recalcitra. I primi secoli della storia della Chiesa ma ogni tanto il problema ricompare — sono la prova di tutta la difficoltà che ebbe il pensiero teologico a consolidarsi su questo punto essenziale della fede cristiana. Non diceva Nestorio, nel 431, al concilio di Efeso: «Non accetterò mai di chiamare Dio un bebè che vagisce in una culla!»? Ma andiamo fino al fondo di questo realismo: ci è ben difficile renderci conto che Dio ha sperimentato tutta la vulnerabilità e la dipendenza d'un bambino, che ha bisogno di venire allattato, cambiato, lavato. Un Dio che ha vissuto tutte le servitù del corpo, fino alle più umilianti: d'un corpo che si stanca, si sente sfinito e si ribella, che ha fame, sete e non può, restare sempre pulito, un corpo che suda e soffre... È qui la radice dell'arianesimo, che la Chiesa ha sempre faticato a estirpare in maniera definitiva: se Gesù è totalmente uomo, non può essere veramente Dio. Alla nostra ragione e al nostro cuore riesce difficile accettare che Dio abbia potuto decidere di conoscere e amare fino al limite del nostro corpo. Siamo nel vivo dell'esigenza più profonda della fede cristiana.
Rifiuto del corpo, rifiuto dell'Incarnazione e rifiuto anche di quel Dio che si spinge fino a voler farsi cibo per noi. Quando Gesù afferma: «Chi si ciba della mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. La mia carne infatti è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda» (Giovanni 6,54-55), per i discepoli è troppo. Non possono, o non vogliono ascoltare oltre: «Questo discorso è duro. Chi lo può ascoltare? (...) Da quel momento molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui» (Giovanni 6,60.66). E tuttavia, non si può essere veramente cristiani se non si accetta fino in fondo il proprio corpo e la sua dignità, o quando si accusa il corpo di ciò che in realtà è il peccato del cuore. Gesù dà fondo a tutte le sue energie per farlo capire ai discepoli, dopo averlo proclamato — invano, pare — alle folle che accorrevano per sentirlo: «Anche voi siete ancora privi d'intelligenza? Non capite che tutto ciò che di esterno entra nell'uomo non può contaminarlo, giacché non entra nel suo cuore, bensì nel ventre, per finire poi nella fogna? (...) Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo. Dall'interno, cioè dal cuore degli uomini, procedono i cattivi pensieri, le fornicazioni, i furti, le uccisioni, gli adultèri, le cupidigie, le malvagità, l'inganno, la lascivia, l'invidia, la bestemmia, la superbia e la stoltezza. Tutte queste cose malvagie procedono dall'interno e contaminano l'uomo» (Marco 7,18-23). Il vero problema dell'equilibrio umano non sta nel corpo, che è fin troppo facile accusare, ma nel cuore dell'uomo, che si lascia traviare.
È questa prospettiva, questo modo di vedere le cose che fa da contesto alla teologia del corpo di Giovanni Paolo II: «La teologia del corpo non è tanto una teoria, quanto piuttosto una specifica, evangelica, cristiana pedagogia del corpo». Come pedagogia, questa teologia del corpo è una maniera d'addomesticare il nostro corpo, perfino di «riconciliarci» con esso: anzitutto comprendendolo alla luce del disegno di Dio alle origini, nell'epoca — per riprendere le parole stesse di Giovanni Paolo II — della «preistoria teologica dell'uomo», e attribuendogli il posto che lì gli spetta; poi capendo come il peccato delle origini — quella monumentale catastrofe che segna l'avvento dell'«uomo storico» — abbia ferito il cuore dell'uomo e della donna e definitivamente insinuato un'opacità nel loro sguardo sui propri corpi; e, infine, aprendosi alla redenzione del nostro corpo donataci da Gesù nella sua incarnazione e accettando il soccorso della grazia, in particolare la grazia del sacramento del matrimonio, quella grazia che è l'unica realtà che ci aiuta a vivere una vita sessuale autenticamente umana, cioè calata in una dinamica di dono vero delle persone. Ecco l'intenzione di fondo del papa: dare le chiavi per capire il nostro corpo alla luce del piano divino, rifiutato dall'uomo, restaurato da Cristo, proclamato dalla Chiesa.
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cattolici vegetariani, cattolici.vegetariani@gmail.com il 15 aprile 2010 alle 13:53 ha scritto:
E' un libro veramente bello ed interessante!
Esprime la sublimità del progetto originario di Dio espresso in Genesi 1,27-29 in cui l'Uomo e la Donna -immagine e somiglianza di Dio- sono chiamati ad essere Uno (leggete anche genesi 1,29-> siamo stati creati vegetariani, segno che la perfetta armonia fra L'uomo e Dio si esprime nell'Unione sponsale di cui parla questo libro e nell'armonia con il Creato).
Questo libro racchiude la sintesi della Teologia del corpo espressa dal Santo Padre Giovanni Paolo II nelle udienze con le famiglie: è assolutamente unico e da leggere!!!
Ester il 24 febbraio 2014 alle 12:04 ha scritto:
Chi ti ha detto che siamo stati creati vegetariani? E le cene di Gesù? Non mangiava forse l'agnello Pasquale? E il sogno di Pietro? Il Signore non gli proibiva di mangiare anche le altre carni che gli ebrei consideravano impure!
Forse andrebbe letta anche la Bibbia!
marina bettio il 28 aprile 2014 alle 15:26 ha scritto:
Assolutamente da leggere. Per tutti: sposi, fidanzati, preti, chi deve fare catechesi....
Yves Semen traduce in modo accessibile a tutti le catechesi di Giovanni Paolo II altrimenti un po' ostiche, facendoti scoprire la bellezza della sessualità umana come era nel pensiero di Dio e come è stata rigenerata con la venuta di Cristo. Marina
Dott. Miriam Valentini il 29 ottobre 2018 alle 14:08 ha scritto:
Devo dire che questo testo mi ha un po' delusa. L'argomento è interessante, ma la lettura è difficile, un po' troppo per addetti ai lavori. Nonostante lo abbia da parecchio, non sono riuscita ancora a finirlo.