Mariologia ecumenica
-Approcci - Documenti - Prospettive
(Teologia e spiritualità mariana)EAN 9788810808566
Invitare un valdese come me a presentare un libro di mariologia, anche se ecumenica, è un rischio. Perché un rischio? Perché i valdesi e i protestanti in genere s’interrogano da sempre sull’utilità, sulla necessità e persino sulla legittimità di una mariologia, anche se val forse la pena ricordare che la nostra Confessione di fede, riformata nel 1655, si conclude con una «breve giustificazione» intorno a quei punti della dottrina cristiana «dei quali i dottori della religione romana sono soliti accusare le nostre Chiese». «Siamo ordinariamente accusati» di 15 atteggiamenti e posizioni che invece non sono affatto nostre. La 15a riguarda Maria e dice: «Perché non invochiamo la santa Vergine, e gli huomini già glorificati (i santi), siamo accusati di sprezzargli, là dove noi gli stimiamo beati, degni di lode e imitazione; e particolarmente teniamo la gloriosa Vergine benedetta sopra tutte le donne». Ma anche se è vero che «teniamo la gloriosa Vergine benedetta sopra tutte le donne », la distanza tra la mariologia cattolica, anche ecumenica, e quella evangelica (nella misura in cui si può parlare di «mariologia evangelica »), resta davvero grande. Perciò non è senza un certo imbarazzo che mi accingo a presentare questo libro, perché da un lato lo debbo lodare sia per il suo contenuto sia per lo spirito che lo anima, dall’altro non posso non chiedermi se la via qui indicata per giungere alla piena comunione tra cattolici, protestanti e ortodossi sia quella buona o quella migliore. Anzitutto le lodi che il volume merita. La prima riguarda il contenuto. L’orizzonte del volume è effettivamente ecumenico, direi dalla prima all’ultima pagina, con due caratteristiche salienti: il dibattito attuale, grosso modo a partire dal Vaticano II – e qui devo segnalare il rilievo dato alle posizioni dell’evangelismo italiano –, e i dialoghi ufficiali (pp. 169-376, dunque più di 200 pagine in cui i documenti (cattolici-evangelici, anglicani-cattolici, anglicani-ortodossi, ortodossi-vecchio cattolici, cattolici-luterani USA, ortodossi-ortodossi orientali) non sono semplicemente riprodotti, ma vagliati, valorizzati, sintetizzati) e documenti non ufficiali (qui c’è un piccolo lapsus: il documento sinodale sull’ecumenismo è un documento ufficiale [424]), in cui grande rilievo è dato al Gruppo di Dombes (429-534). Quindi insomma ci troviamo davanti a una documentazione amplissima, non solo riprodotta, ma elaborata, quindi una grande ricchezza di dati, di pensieri, di prospettive. La seconda lode, più che sul contenuto, sul metodo è che Bruni utilizza ampiamente e coraggiosamente la categoria della «gerarchia delle verità», quindi distingue tra verità primarie e verità secondarie o derivate, aprendo spazi di comunione finora inesistenti, in quanto le verità derivate non sarebbero obbliganti, per tutti, tanto più che i dogmi mariani sono stati proclamati dalla sola Chiesa cattolica, non possono quindi essere imposti a Chiese che non sono neppure state consultate quando furono proclamati. La seconda categoria utilizzata dall’autore è quella del consenso differenziato – applicato in particolare alla Dichiarazione sulla giustificazione, ma anche prima – per cui si è d’accordo su affermazioni fondamentali e si differisce su questioni di minor rilievo. Il fatto di utilizzare queste due categorie è positivo e meritevole di elogio.
C’è poi una lode sullo spirito che anima queste pagine: spirito di ascolto anche di posizioni fortemente critiche nei confronti della mariologia, che Bruni descrive come «dialogo faccia a faccia» (388), un po’ come quello tra Paolo e Pietro ad Antiochia; ascolto vuol dire prendere sul serio le obiezioni, e questo avviene – per quanto ho potuto constatare – sempre; spirito quindi di un dialogo autentico che punta alla comunione, cioè a non fare più di Maria un motivo di divisione tra cristiani e specialmente tra cattolici e protestanti: le posizioni possono essere differenziate – e lo sono, anche nelle punte più avanzate del dialogo (Dombes) – ma questo, secondo Bruni, non impedisce la piena comunione e il sedersi insieme alla mensa eucaristica. Com’è possibile questo? Ciascuna delle due parti deve rinunciare a qualcosa: non in ciò che crede, ma nel rapporto tra ciò che crede essa stessa e ciò che crede o non crede l’altro cristiano. Prima di vedere quali sono queste rinunce, diciamo quali sono i problemi: sono i due dogmi mariani che protestanti e ortodossi non accettano, gli ortodossi perché non sono di un concilio ecumenico e forse anche per i loro contenuti dottrinali, e così, a fortiori, i protestanti. È il culto di Maria, cioè l’invocazione del suo nome, che il protestantesimo rifiuta da sempre e invece l’ortodossia pratica. Quali rinunce della parte cattolica? Credo che i cattolici debbano accettare che i protestanti considerino i due dogmi non dei dogmi, ma dei theologoumena, cioè delle dottrine teologiche, non degli articoli di fede. In nome di che cosa? In nome del fatto che si tratta di verità derivate, non obbliganti per tutti, come necessarie all’unità. L’autore cita sovente l’adagio classico attribuito a sant’Agostino: in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus charitas. Devono poi accettare di stabilire piena comunione con cristiani che non praticano il culto mariano in nessuna forma: diranno insieme il Padre nostro, ma non l’Ave Maria, che non è una preghiera ma un saluto. La parte protestante a che cosa deve rinunciare? Deve accettare che i cattolici considerino l’Immacolata concezione e l’Assunzione dogmi, cioè articoli di fede che loro non condividono come tali, ma che accettano che vengano ritenuti tali dai cattolici «non ritenendoli contrari all’Evangelo né alla fede, ma considerandoli conseguenze libere e legittime di una riflessione della coscienza cattolica sulla coerenza della fede» (531). «L’interpretazione di tali dogmi non comporta nulla che sia contrario all’annuncio evangelico» (527). Deve accettare in secondo luogo la pietà mariana, rispettandola. Infine esprimo la mia perplessità sull’intero progetto di Bruni e sull’idea stessa di una «mariologia ecumenica» per quattro motivi. Il Vaticano II ha voluto contrastare uno sviluppo autonomo della mariologia che rischiava di proiettare sempre più Maria nel cielo della divinità, e perciò ha lodevolmente (da un certo punto di vista) collegato la mariologia da un lato all’ecclesiologia e dall’altro alla cristologia, secondo il motto caro, tra gli altri, a Paolo VI: per Mariam ad Christum. Senonché il risultato di questo doppio collegamento è che la mariologia è ormai diffusa nella trattazione di tutta la dottrina cristiana, per cui, anziché avere un suo ridimensionamento, se n’è avuta un’ulteriore dilatazione.
Lo sviluppo (secondo noi eccessivo) della mariologia affonda le sue radici teologiche in un doppio deficit della teologia cristiana soprattutto nel Medioevo, ma già nella Chiesa antica. Il primo deficit è quello della mancata elaborazione del valore dell’umanità di Gesù, perché è stata messa in luce o la sua divinità (grande sviluppo del Cristo giudice, ad esempio: pensiamo al Cristo giudice della cappella Sistina), oppure la sua umanità crocifissa, ma non la sua umanità, che, non trovata in Cristo, è stata cercata e trovata in Maria, che è diventata per innumerevoli cristiani il volto umano della Divinità. Il secondo deficit è il mancato sviluppo della pneumatologia, cioè della dottrina dello Spirito Santo, per cui tutta una serie di titoli attribuiti dalla tradizione liturgica e devozionale a Maria, in realtà competono allo Spirito Santo, al quale vengono attribuiti dal Nuovo Testamento (un solo esempio: Maria è spesso chiamata avvocata, che è un titolo che appartiene a Cristo e allo Spirito Santo). La mariologia surroga un mancato sviluppo di un aspetto della cristologia e della pneumatologia. I dogmi mariani contraddicono la Scrittura in quanto attribuiscono a Maria quello che il Nuovo Testamento attribuisce espressamente a Cristo. E non c’è nella Scrittura il benché minimo accenno alla necessità che la mediazione di Cristo abbia bisogno di sottomediazioni come quelle di Maria e dei santi. La mediazione di Cristo è perfettamente sufficiente, essa copre l’intera distanza tra Dio e noi, tra noi e Dio. Credo che su questo, come su altre questioni, in campo ecumenico sia meglio auspicare una concordia discors piuttosto che una concordia tout cout: il dissenso, che c’è, non va taciuto, ma manifestato. Non bisogna temere di suscitare tensioni all’interno dal corpo di Cristo. Ci sono – è vero – tensioni paralizzanti che vanno evitate, ma vi sono anche «tensioni creatrici» (M.L. King) che invece vanno incoraggiate. Meglio la guerra dei vivi che la pace dei morti! Qui non si tratta, ovviamente, di guerra, ma di un confronto aperto e critico su una questione altamente controversa. La comunione in Cristo è talmente profonda che è in grado di reggere vittoriosamente molte tensioni, che rendono la comunione più viva e più vera.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 14
(http://www.ilregno.it)
L’Autore non ha bisogno di presentazione, tanto è noto nella riflessione mariologica in prospettiva ecumenica. Il titolo del volume ci porta ad un nucleo tematico che fino a qualche tempo fa sembrava incompatibile con il cammino ecumenico e che grazie alla riflessione teologica post-conciliare e agli incontri ecumenici risulta sempre più un locus fondamentale per l’ecumenismo esistenziale e dottrinale e persino per la riflessione teologica comune. Non a caso Bruni apre la riflessione nella prima pagina con un brano del documento di Dombes: Maria nel disegno di Dio e nella comunione dei santi. Un testo che in un certo senso giustifica non solo il tema, ma anche il suo svolgimento all’interno del volume. Questo è articolato, come sottolinea il sottotitolo, in tre grandi parti, delle quali la seconda include due sezioni ed è anche quella più ampia proprio per la finalità che si prefigge. Nella prima si presentano i diversi approcci alla figura di Maria operanti nelle teologie cristiane, in particolare l’approccio cattolico, protestante, ortodosso. Nella seconda sono proposti i documenti - all’interno delle due sezioni rispettivamente ufficiali e non ufficiali, internazionali e nazionali - i quali delineano, attraverso i dialoghi ecumenici e altri confronti, i rapporti tra le varie professioni cristiane circa la figura di Maria. L’ampiezza è giustificata dal fatto che, proprio sulla piattaforma di questi incontri e dei documenti in essi elaborati, si dimostra che è possibile il cammino ulteriore indicato nelle prospettive delle seguenti eloquenti espressioni: Verso una metodologia condivisa, Verso una prospettiva teologica condivisa, Il consenso differenziato e il linguaggio iconico. Lo studio di Bruni può essere un utile strumento per elaborare una mariologia che non sia “vittima” delle divisioni tra le diverse confessioni cristiane, ma piuttosto capace di diventare luogo di comunione come lo può essere in modo speciale la Theotokos.
Tratto dalla Rivista di Scienze dell'Educazione n. 1/2010
(http://www.pfse-auxilium.org)
Si tratta dell’ultimo, poderoso lavoro di Giancarlo Bruni, servo di Santa Maria dell’Eremo delle Stiche (Firenze), fratello della Comunità di Bose, noto docente di Ecumenismo presso la Facoltà Teologica Marianum in Roma, che proprio alla causa ecumenica ha votato gran parte della sua esistenza. Il libro è il frutto di un’intima esigenza avvertita dall’autore fin da giovane: la necessità, cioè, di conoscere il racconto dell’altro; un’esigenza che lo ha sollecitato a una costante ricerca in campo ecumenico, che ha prodotto numerosi articoli e importanti libri. Il testo che presentiamo, come si evince dal sottotitolo, si suddivide in tre sezioni. Nella prima (Approcci, capp. I-IV, pp. 9-165), l’autore, ben conscio che la riflessione ecumenica deve partire da un «approccio esperienziale e globale al tema » (p. 6), con estrema lucidità presenta i diversi orizzonti mariologici su cui le chiese e le comunità cristiane possono lavorare insieme per un sincero e concreto cammino ecumenico.
Bruni offre una ricca disanima dei diversi punti di vista riguardo la beata Vergine. Innanzitutto, viene esposta la visuale cattolica (cap. I, pp. 9-34), che propone una mariologia ecumenica solo a partire dal Concilio Vaticano II. Quindi, viene presentato l’approccio protestante (capp. II-III, pp. 35- 98): per i fratelli riformati, che, pian piano, stanno recuperando la figura biblica di Maria, «ogni definizione dogmatica si giustifica e si legittima se fondata comunque sul dato biblico, diversamente si tratta di una innovazione arbitraria» (p. 55). Infine, viene esposto il punto di vista ortodosso (cap. IV, pp. 99-165), che incontra Maria come Theotokos e Panaghia nell’ecclesia orans. La seconda sezione del libro (Documenti) è suddivisa in due parti. La prima di queste parti (capp. V-XI, pp. 169-376) tratta dei Documenti ufficiali internazionali e nazionali; sono presentati e commentati accuratamente tutti i testi scaturiti da dialoghi ufficiali tra le diverse chiese, che hanno riferimento alla Madre del Signore, anche quelli che non hanno a che vedere con la Chiesa cattolica. In particolare, Bruni dà ampio spazio al dialogo tra la Chiesa cattolica romana e la Comunione anglicana (2004) e a quello tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa luterana degli Stati Uniti d’America (1990), in quanto, a tutt’oggi, essi costituiscono, insieme al testo non ufficiale del Gruppo di Dombes, le testimonianze più rilevanti che ha prodotto il dialogo ecumenico su Maria. La seconda parte di questa sezione (cap. XII-XVIII, pp. 379-554) raccoglie i Documenti non ufficiali: tra questi il professore del Marianum da grande rilievo proprio al Documento di Dombes, del 1998, a cui dedica ben 4 capitoli (XIIIXVI, pp. 429-534). Nella terza sezione del libro (Prospettive, cap. XIX, pp. 557-567), Bruni tira le somme della sua indagine: dopo l’attenta analisi di tutti i documenti, egli propone un elenco delle indicazioni che devono essere alla base di una sana metodologia ecumenica.
Due sono le categorie – molto apprezzate dai fratelli separati – che animano il discorso ecumenico mariologico attuale: la gerarchia delle verità e il consenso differenziato.Il principio della gerarchia delle verità consente di riconoscere la distinzione tra verità prime, riguardo alle quali il consenso deve essere totale, e verità seconde o derivate (ma non secondarie), sulle quali è possibile non essere perfettamente concordi. Invece, con il concetto di consenso differenziato si vuole asserire che un nucleo di base di accordo è enunciato accanto a diverse formulazioni dottrinali, che le differenti confessioni possono mantenere come patrimonio proprio se conformi al dato biblico e mutuamente compatibili. Si sottolinea così l’importanza per il futuro della chiesa di porre la differenza come parte integrante del consenso. L’accordo differenziato si potrà realizzare solo se ognuna delle parti a confronto riuscirà a comprendere le ragioni dell’altra in rapporto alle verità seconde, che non toccano la propria visione fondamentale; riguardo a Maria, la questione interessa la sua verginità perpetua, gli ultimi dogmi mariani (Immacolata concezione e Assunzione), la sua cooperazione alla redenzione e il culto mariano. I cattolici, basandosi sui principi appena indicati, riguardo alla verginità in partu e post partum, ai due recenti dogmi e al tema della mediazione mariana, dovrebbero accettare che i protestanti li riconoscano solo come dei teologumeni. Questo permetterebbe di non vedere più la posizione dell’interlocutore come motivo di separazione sostanziale. Altresì, i cattolici dovrebbero accettare di stabilire piena comunione con coloro che non praticano il culto mariano: insieme, pregheranno con Maria, accettando, però, che i fratelli separati non la invochino in modo diretto. A loro volta, invece, i protestanti, devono accettare che i fratelli cattolici intendano la verginità perpetua, i due recenti dogmi mariani e la dottrina della cooperazione della Vergine come verità di fede, anche se essi non li considerano tali, e ciò in forza della loro interpretazione che non contraddice il Vangelo.
Un aiuto a riguardo ci viene dall’ultimo dialogo cattolico-anglicano che legge i due dogmi mariani recenti alla luce della comprensione escatologica: in quest’ottica si attesta che ciò che essi affermano «non è contrario all’insegnamento della Scrittura e delle antiche tradizione comuni e che questi insegnamenti possono essere compresi soltanto alla luce della Scrittura» (Dialogo Chiesa cattolica romana-Comunione anglicana: “Maria: grazia e speranza in Cristo” nn. 59-60). Altresì, riguardo alla pietà mariana dei cattolici, i riformati, anche se non invocano Maria, devono accettarla, rispettandola pienamente. Siamo dinanzi a un testo interessantissimo, da apprezzare sia per il contenuto ecumenico che promana dalla prima all’ultima pagina, sia per l’ampia raccolta di dati: in particolare, la seconda sezione offre al lettore una consistente e ben strutturata documentazione relativa alla persona di Maria nel dialogo interconfessionale. Un testo che i cultori di ecumenismo dovrebbero tenere sempre a portata di mano e da cui poter attingere con estrema facilità.
Tratto dalla rivista Asprenas n. 1-2/2010
(http://www.pftim.it)
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