Qual è la volontà di Dio? (Rm 12,2b)
-Il discernimento cristiano nella lettera ai romani
(Supplementi alla rivista biblica)EAN 9788810302415
La pubblicazione leggermente rivista della dissertazione dottorale in teologia biblica di Michele Marcato ha per oggetto d’indagine il tema del discernimento, cosí come enucleato nel tracciato argomentativo della lettera ai Romani a partire dalla formulazione di Rm 12,1-2. Nel delineare lo status quaestionis, l’A. sottolinea in modo condivisibile le carenze degli approcci metodologici sinora messi in atto per studiare il tema: l’esame lessicale e concettuale.
Il primo tipo d’indagine ha visto spesso la focalizzazione su un solo termine esprimente il concetto di discernimento; la prospettiva concettuale, invece, allarga fin troppo il campo d’indagine, abbracciando campi semantici troppo vasti e osservati nel quadro piú ampio dell’intero epistolario paolino, senza giungere a un convincente approfondimento del tema. La scelta metodologica dell’A., pertanto, prevede di circoscrivere l’oggetto della ricerca al solo testo della lettera ai Romani, studiando il concetto del discernimento secondo la ricca semantica disseminata nel testo, esaminata nello stretto legame col contesto argomentativo di ogni singola unità retorica.
La ricerca, in una prima tappa (capp. 2-4), indaga i campi semantici che favoriscono la comprensione degli enunciati principali in Rm 12,1-2. (1) La semantica attinente la volontà divina designa non tanto delle direttive etiche, bensí emerge in tutta la sua portata teo-logica, designando il disegno salvifico di Dio, diretto e animato dalla misericordia che Egli vuole manifestare all’uomo (Rm 8; 9; 11). In poche parole, volontà di Dio è «quanto Dio stesso, nel disegno salvifico della sua volontà, ha già fatto, o ha in mente di fare, per l’uomo» (p. 128). (2) Per quanto concerne il discernimento la presunta originalità paolina un tempo attribuita all’utilizzo del vocabolo dokimazein e affini non è poi tale! In effetti, tale verbo appare significativo per il discernimento etico cristiano solo entro alcuni contesti particolari e, solitamente, in connessione con altri termini e ambiti semantici che esprimono conoscenza, valutazione, distinzione o giudizio di valore.
Una considerazione dell’ampio spettro lessicale utilizzato per parlare del discernimento consente di evidenziare che, nella visione paolina, non emerge il passaggio da una condizione umana corrotta a una situazione rinnovata, in cui le possibilità e facoltà conoscitive e di discernimento sarebbero restituite a un’integrità perduta. (3) La partecipazione alla morte e risurrezione di Gesú mediante il battesimo pone il credente in una condizione nuova, caratterizzata dal rinnovamento della mente. La prima opera di discernimento cui il cristiano è interpellato contempla il riconoscimento di quanto Dio ha già operato a suo favore per mezzo dello Spirito e grazie a Gesú (Rm 6 e 8): un dono già presente da riconoscere, in vista di viverne l’efficacia, in un orizzonte escatologico in cui la novità, nella speranza, raggiungerà la pienezza. Precisati i «termini» della questione, l’autore avvia uno studio comparativo con alcuni testi di Epitteto (soprattutto le Diatribe), da cui emergono, pur nella diversità lessicale, alcune linee comuni tra la prospettiva paolina e quella del filosofo stoico in merito al discernimento (cap. 5).
Specificamente: (a) per conoscere la volontà di Dio occorre conoscerne il «volto»; (b) conoscere la volontà divina e vivere una vita etica in consonanza implica una relazione di tipo interpersonale con Dio; (c) il discernimento necessita un certo modo di pensare e valutare (phronein) strettamente connesso al compito e ai doni specifici che Dio riserva a ogni singolo credente entro il complessivo disegno della storia salvifica ed entro la nuova realtà della comunità cristiana; (d) discernere il volere divino implica la contemplazione del modo nel quale Dio ha operato nel mondo fino a ora, che in Paolo equivale al piano salvifico di Dio. Nell’ultimo capitolo l’A. precisa che la «volontà di Dio» non può essere oggetto diretto di discernimento. L’espressione è da inquadrare come invito a una rilettura della storia e del tempo presente alla luce della fede: solo cosí è possibile un corretto discernimento pratico. A caratterizzare i credenti non è tanto il dokimazein, bensí il parametro di riferimento in cui si esercita tale attività, ossia la volontà di Dio che si manifesta come progetto salvifico nella storia. In secondo luogo, l’attività del discernimento si concretizza in un contesto inedito: la condizione radicalmente nuova nella quale il cristiano è inserito per puro dono divino e che gli consente di assumere un modo di pensare in progressiva conformazione a quello di Cristo.
Lo studio di Marcato ha l’indubbio pregio di mettere a fuoco contestualmente a Rm il concetto del discernimento, offrendo la ricchezza semantica con la quale il tema viene denotato nello snodarsi del tracciato epistolare. L’A. ha fornito ulteriori argomenti per precisare che il discernimento avviene nella mente rinnovata, evitando riduzionismi volti a semplificare o adattare a modelli preesistenti nella filosofia greca la ricca e complessa gamma lessicale paolina in merito. La ricerca, tuttavia, non si sbilancia nell’entrare in merito ad alcune questioni ancora aperte circa il rapporto tra Rm 12-13 e Rm 14-15: la semantica del discernimento presente in Rm 14-15 viene solo illuminata dai capitoli che la precedono, oppure può aiutare ulteriormente a comprendere espressioni come discernere, volontà di Dio, mente rinnovata? Se Rm 12,1-2 costituisce la tesi della sezione parenetica, non appare sufficientemente evidente come questi versetti inaugurali favoriscano la comprensione del rapporto tra le due sezioni in Rm 12-13 e Rm 14-15, al di là del semplice «discernimento in un caso concreto».
A riguardo, la comparazione con i testi di Epitteto merita di essere ulteriormente approfondita, per evidenziare ancor piú i debiti culturali del testo paolino e aprire nuove possibilità per sciogliere alcuni nodi del testo, in cui l’apostolo sembra intrecciare continuamente la tradizione biblico-sapienziale e quella culturale-filosofica del suo tempo: è sufficiente reperire tale rapporto, come ha ben fatto Marcato? Oppure può tale comparazione offrire chiavi ermeneutiche ed esegetiche ulteriori per gettare luce sulle ombre ancora presenti in Rm 12-15? Da ultimo, alcuni errori tipografici: a p. 27 nota 51 il titolo di Cullmann è già introdotto a p. 17 nota 10; a p. 264 le monografie di Kariuki Njiru P. e Morgan T. segnalate nelle note 22 e 24 non appaiono nella bibliografia finale del testo e nell’indice degli autori; a p. 291, decima riga, la sintassi risulta incomprensibile (per un’evidente errore di battitura).
Alcuni altri errori marginali sono disseminati nel testo. A parte questi dettagli, il testo si legge volentieri, consegnando al dibattito scientifico una preziosa tessera del mosaico sul discernimento di cui tener conto.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 2/2012
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
-
-
-
-
-
20,00 €→ 19,00 € -
-
-
22,00 €→ 20,90 € -
15,00 €→ 14,25 € -
35,00 €→ 33,25 €