Antonio Rosmini fra politica ed ecclesiologia
(Fede e storia)EAN 9788810104842
Quando il 10 ottobre scorso la sala stampa del Vaticano ha ufficializzato il calendario delle celebrazioni liturgiche fino al gennaio 2008 è balzata subito agli occhi la data di domenica 18 novembre, perché nel pomeriggio, nel Palazzetto dello Sport di Novara, sarà officiata dal cardinale Josè Saraiva Martins, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, la solenne cerimonia di beatificazione di Antonio Rosmini, concelebrata, oltre che dai sacerdoti rosminiani, dal vescovo di Novara, mons. Renato Corti, e dai sacerdoti della Diocesi. «Dalle accuse del Sant’Uffizio all’onore degli altari», hanno titolato diversi giornali nel dare notizia del traguardo della beatificazione per il percorso del «filosofo e patriota cattolico che dovette subire, in vita – si legge su colonne di stampa –, il processo del Sant’Uffizio e la messa all’indice di sue opere a causa delle visioni anticipatrici sul ruolo della Chiesa». Il 1° giugno scorso, del resto papa Benedetto XVI, che come cardinale «dell’ex Sant’Uffizio è stato il prefetto per oltre vent’anni», aveva autorizzato ufficialmente la Congregazione per le Cause dei santi a riconoscere un miracolo compiuto «grazie all’intercessione» di Rosmini.
Di questo uomo di Chiesa, nato a Rovereto nel 1797 e morto a Stresa nel 1855, fondatore dell’Istituto della Carità e delle Suore della Provvidenza, da tempo si considerava il ruolo di «sacerdote e teologo che, con più di un secolo di anticipo, prefigurò le riforme del Concilio Vaticano II». «I concetti che aveva elaborato ricorrono oggi in tutti i testi della Dottrina Sociale della Chiesa», è stato affermato in questi mesi, perché «fine dello Stato è per don Rosmini il bene comune, concepito come salvaguardia della possibilità per le persone di perseguire il bene sommo: lo Stato non può dunque superare i limiti posti dai diritti della persona. Non rientra nella competenza statale – si è aggiunto – il provvedere direttamente alla felicità delle persone; questa è la pretesa infondata del socialismo e del comunismo, che agli occhi di Rosmini considerano la perfezione raggiungibile in questo mondo e mirano a realizzare l’uguaglianza politica ed economica di tutti gli esseri umani» (cf Giuseppe DE RITA, Il profeta della cattolica libertà, in «30giorni», n. 9, settembre 2007, 52). Non solo, c’è chi ha posto l’accento su come, tra coloro che si sono maggiormente spesi per una piena riabilitazione di don Antonio Rosmini, ci sia stato il suo confratello, mons. Clemente Riva, vescovo ausiliare del settore Sud della diocesi romana, scomparso nel 1995. Mons. Riva, ai tempi di Paolo VI, aveva ottenuto il permesso ad personam di ristampare con la Morcelliana Editrice «Le Cinque Piaghe della Chiesa», quel libro nel quale Rosmini, per liberare la chiesa cattolica dall’abbraccio di Francesco Giuseppe, l’imperatore d’Austria, aveva vagheggiato che i vescovi, in sintonia con una prassi nella chiesa delle origini, potessero essere eletti dal basso dalle comunità ecclesiali dove erano inseriti (Per l’intera vicenda si segnala, a margine, Claudio Massimiliano PAPA, Storia di una causa tormentata, in «30giorni», n. 9, settembre 2007, 56-61).
In ogni caso, man mano che sono passati gli anni, Rosmini è stato considerato un anticipatore delle innovazioni del Concilio Vaticano II e lo stesso Giovanni Paolo II, nella sua enciclica «Fides et Ratio», lo ha citato come un esempio valido per i tempi attuali. Certo, la sua causa di beatificazione, dopo molti anni di incertezze legate alle sue posizioni teologiche condannate dal Sant’Uffizio, aveva subìto un’accelerazione il 21 marzo 1998 con la chiusura, a Novara, del processo informativo diocesano, ma non va taciuto che fin dal febbraio 1994 la Congregazione per la Dottrina della fede, presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger, aveva comunicato che non vi era alcun ostacolo all’apertura di quel processo. Lo stesso cardinale Ratzinger, nel 2001, con una propria nota aveva riabilitato Rosmini dichiarando che non avevano fondamento talune condanne emesse nei suoi confronti in relazione ad alcuni scritti teologici. Ed in questo clima, ecco che nel 2005, in occasione del 150° anniversario della morte nuova attenzione fu prestata al sacerdote e mesi dopo, inserito nella collana «Fede e storia» è stato pubblicato il volume di Giorgio Campanini, nel quale si rendono disponibili all’ampio pubblico numerosi saggi che coronano un’armai venticinquennale attività di studio dell’autore sull’opera rosminiana.
Campanini affronta prima le questioni relative al contesto storico, riflettendo su chiesa e politica, mettendo in correlazione le problematiche rosminiane e le questioni attuali (p. 17-22); quindi tratta di Chiesa e cristianità, stabilendo un serrato ed interessante rapporto tra Gioberti, Ventura e Rosmini appunto (p. 33) e trova il culmine della sua riflessione del progetto riformatore del Rosmini, riflettendo sul percorso culturale «Dalle Cinque piaghe alla Missione a Roma» (p. 57- 68). Nella seconda parte, poi, l’autore sente di dover affrontare alcuni nodi teoretici a partire dall’analisi di Rosmini ed il principio della sussidiarietà, per passare a Rosmini e la «Società universale del genere umano» (p. 79-90), per concludere il percorso guardando a Rosmini e le istituzioni rappresentative e rileggendo la sua filosofia del diritto (soprattutto p. 106). Il filo conduttore è il concetto di persona umana che costituisce il sottile legame attorno al quale, a ben vedere, ruotano sia la politica sia l’ecclesiologia di Antonio Rosmini. Emerge come le pagine di questo Beato meritino ancora oggi di essere investigate: non solo come documento di un’epoca di transizione, ma pure come chiave di lettura di molte problematiche nuove e antiche.
Tratto dalla rivista "Parola e Storia" n. 2/2007
(http://www.scienzereligiose-br.it)
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