La società aperta e i suoi amici
-con lettere di I. Berlin e K.R. Popper
(Società e socialità)EAN 9788831124423
Alla sua seconda edizione (la prima è del 1995), arricchita di tre cc. e nell’apparato bibliografico, il vol. ripercorre la storia del diritto, interpretata alla luce di alcuni aa. e momenti fondatori: l’esperienza giuridica romana, l’apogeo e la crisi del principato, il rapporto tra religione e politica da Eusebio di Cesarea ai teorici medievali della supremazia papale, cavalcando fino alla contemporaneità. In appendice la trascrizione dei carteggi tra l’a., docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università del Molise e alla LUISS di Roma, e Karl Popper e Isaiah Berlin.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 8
(http://www.ilregno.it)
Quando negli anni ’70 del secolo scorso, anche grazie all’accurata edizione di Dario Antiseri, The Open Society and its Enemies di Karl Popper, con il suo primo volume riguardante The Spell of Plato, fu portato all’attenzione del dibattito culturale, questo non fu di poco momento. Il teorico della fallibilità della conoscenza umana, affermando nelle pagine di quel libro, che la «società aperta» è aperta a più valori, più visioni del mondo filosofiche e a più fedi religiose ed anche ad una molteplicità di proposte per la soluzione di problemi concreti e alla maggior quantità di critiche, offriva nuova materia di analisi. In quello che ora si può considerare «un classico della democrazia» – ed in ogni caso, uno dei testi più apprezzati della seconda metà del Novecento – Pop-per affermava ancora che la «società aperta» è aperta al maggior numero possibile di idee e di ideali differenti, forse anche contrastanti e con una sola chiusura verso gli intolleranti, che si credono possessori di una verità assoluta, dell’unico valore, legittimati quindi ad imporre l’una e l’altro.
Popper, dunque, così pen-sando, mosse la sua critica a Platone, grande uomo, ma colpevole di aver com-messo un grande errore, teorizzando la «società chiusa», tanto da meritare un giudizio del seguente tenore: «Platone fu costretto a combattere il libero pensiero e il perseguimento della verità; fu indotto a difendere la menzogna, i miracoli politici, la superstizione dei tabù, la soppressione della verità e, alla fine, la violenza brutale (K. R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, 1. Platone totalitario, Armando Editore, Roma 1996, 265)». Critiche, dunque, a chi con La Re-pubblica (Politèia) e con Le Leggi aveva presentato una visione costituzionale concreta e con il suo pensiero era diventato un caposaldo della riflessione filosofica occidentale. Nel 1993, tuttavia, proprio Popper, in una lettera scriveva: «Ho ricevuto…il suo meraviglioso primo capitolo… L’ho letto subito e sono rimasto profondamente impressionato da esso. Io non possono esprimere completamente il mio senso di ammirazione… e, cosa meno importante, il mio profondo accordo. Solo negli ultimi anni io mi sono reso conto dell’importanza della tradizione romana e di Cicerone. Il mio attacco nei confronti di Platone era, io credo, necessario». Popper scriveva a Rocco Pezzimenti; il primo capitolo, al quale fa cenno, è proprio quello dedicato a «L’esperienza giuridica romana. La riflessione di Cicerone». Esso inizia così: «Scopo di queste pagine è quello di individuare il lento cammino che ha portato alla realizzazione delle società aperte mostrando che esse non sono né un dono fatto dalla natura agli uomini né il frutto del caso», e apriva, nel 1995, per Rubbettino Editore, La società aperta e i sui amici, col lettere di I. Berlin e K. P. Popper.
Ora, se questi colloqui epistolari e quel testo, co-noscono una nuova edizione, peraltro ampliata di tre capitoli, vuol dire che il dibattito culturale prosegue e che l’autore se nella prima stesura aveva dato un contributo notevole alla riflessione – le parole di Popper sono chiarissime – adesso insiste estendendo la superficie e la profondità della ricerca, che nel 2002 aveva conosciuto un’altra tappa con La società aperta nel difficile cammino della mo-dernità (Rubbettino Editore). L’attuale edizione, intanto, è inserita nella collana «Società e Socialità», che raccoglie studi di approfondimento sulla realtà sociale ed economica, attraverso il contributo di discipline diverse. E Pezzimenti, interrogandosi sui quesiti fon-damentali dell’inizio del confronto sulla «società aperta» e sui pensatori che a tale concetto hanno dato contributi fondanti, non può non partire dall’esperienza giuridica romana, dalla cultura latina, nella quale, grazie anche ad una prima formulazione del diritto, si gettano le basi di una società democratica e liberale. L’Autore, con grande competenza, rilegge Cicerone e i giuristi romani. «Quanto Cicerone si discosti da Platone e dai greci è evidente» (34), afferma Pezzimenti leggendo il De re publica e, appena oltre, osserva: «Non è certo un caso che, a Roma, le riflessioni politico-filosofiche cominciarono quando il sistema repubblicano stava andando irrimediabilmente in crisi.
Lo stesso avvenne anche in Grecia. La filosofia di Platone e di Aristotele è l’espressione della crisi della polis» (37), ma sono le soluzioni ai problemi ad essere differenti e basti riflettere sul concetto di schiavitù che, per Aristotele è ope natura, in Roma è ope iure. «Lo scopo è quello di far comprendere come la cultura latina apra il cammino verso quelle società aperte nelle quali, ancor oggi, purtroppo, ancora troppi pochi uomini hanno l’opportunità di vivere», ha osservato Flavio Felice, leggendo le pagine di questo libro (Cf La società aperta, i suoi nemici e soprattutto i suoi molti amici, in «l’Occidentale», http://www.loccidentale.it/trasckback/60483), quasi eco feconda alle osservazioni dell’Autore, che scrive: «in Cicerone, a differenza dei greci, non c’è nessuna illusione di creare una società o uno Stato perfetto e giusto in modo definitivo. Anche qui c’è la piena consapevolezza di essere origi-nali rispetto ai greci» (40). Ed insomma, sembra che il confronto sia tra una stati-cità (greca) ed una dinamicità (romana), il cui ordine è nella legge, l’ignoranza della quale è «inammissibile per chi voglia dirsi libero» (43).
Ecco perchè «una società è tanto più matura quanto più è presente questa consapevolezza» (43), e ancora perchè «il fine ultimo della società, di cui le leggi sono lo strumento, è la convivenza pacifica tra gli individui» (ivi). Ne deriva che «la politica a Roma è il laboratorio per fare e non sogno o illu-sione» (45) e queste ragioni, insieme alle altre precedentemente esposte, fanno sì che, nel Medioevo inoltrato, la riscoperta della dimensione giuridica vada di pari passo con la rinascita della socialità e dell’economia. Ecco il motivo per il quale, queste pagine, che ripercorrono «un itinerario a lungo dimenticato», dopo la ri-flessione di Cicerone, fanno necessariamente tappa nel considerare «l’apogeo del Principato e la lunga crisi» (47-86), quindi si soffermano sugli inizi del contrasto e del dilemma tra religione e politica, guardando a due grandi del pensiero cristiano, quali Eusebio di Cesarea ed Agostino di Ippona, il quale – secondo l’Autore – «avrebbe saputo raccogliere il meglio dell’eredità giuridica romana e fon-derla con la cristianità ricordandosi come, a differenza del mondo greco, nel qua-le non era consentito ai privati di svolgere funzioni pedagogiche, nel mondo lati-no questo non solo era concesso, ma anche auspicato, arrivando così a segnare, in modo indelebile, un certo modo di intendere la nostra civiltà» (F. FELICE, La società cit.). Agostino, del resto, «provava ammirazione per lo Stato romano dei tempi passati» (110) e proprio quel modello gli farebbe pensare che «l’uomo si unisce con gli altri uomini per godere con essi il bene della pace.
La tranquillitas ordinis (Cf Ag., De civitate Dei, XIX, 12) – osserva Pezzimenti – acquista un particolare rilievo nel pensiero di Agostino» (113). E se il vescovo di Ippona ed Eusebio hanno dato il loro contributo alle riflessione, non meno fecondi sono stati quelli di Giovanni di Salisbury (116-131), di Tommaso d’Aquino (132-148), del quale l’Autore rileva tutta la modernità, ad esempio, «nel fatto che non lascia al legislatore la libertà di formulare le leggi in modo arbitrario, ma, al contrario, stabilisce dei principi generali all’interno dei quali il legislatore si deve muove-re» (145). Modernità colta anche dal confronto con Egidio Romano (147). E Pezzimenti continua nel suo cammino analizzando la figura di Dante Alighieri («Il problema della pace tra autorità universale ed autonomie locali»), quelle di Marsilio da Padova e Guglielmo d’Ockham (159-182), quindi rispetto alla pre-cedente edizione completa l’analisi, allarga il discorso, scende ulteriormente nel problema, grazie a tre capitoli nei quali fornisce prima una «miscellanea di sto-riografia classica» (183-215), poi studia l’eredità romano-agostiniana, guardando al pensiero di Duns Scoto, infine analizzando l’«eredità greca nel pensiero politico islamico medievale» (226-243).
Utili approfondimenti – «A proposito di imperium» (247-250), «il caso Ari-stotele» (251-262) e le già ricordate «Lettere di K. R. Popper e I. Berlin» (263-283) – consentono ancor più al lettore di orientarsi nel cammino di conoscenza «di quei sistemi liberali e democratici nei quali, pur tra tanti problemi, abbiamo la fortuna di vivere». «Pezzimenti ci ricorda di come l’uomo occidentale sembra aver introiettato nella propria cultura laica e liberale la massima evangelica “ama il prossimo tuo come te stesso” e il principio di “Rendere a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare”. La società libera è aperta in quanto, a partire da questo doppio principio di carità e di laicità (libertà), la storia occidentale per editto religioso ha laicizzato il potere, ponendo al centro la coscienza individuale alla quale spetta di giudicare il potere e non il contrario, ed ha tendenzialmente contribuito ad annullare le ingiustizie dovute alle differenze di sesso, di razza e di religione, chiamando fratello ogni prossimo», ha osservato ancora Felice, e così ciascuno sente l’imperativo di apprezzare questo cammino nella considera-zione di «quanto sia delicata la libertà e come sia necessario difenderla».
Tratto dalla rivista "Parola e Storia" n. 2/2009
(http://www.scienzereligiose-br.it)
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